
Quello per la morte di Stefano Cucchi, il geometra romano arrestato il 15 ottobre 2009 per droga e morto una settimana dopo all’ospedale “Sandro Pertini”, è stato un “processo isterico, infarcito di polemiche, di rappresentazioni parziali, con molta voglia di protagonismo di qualcuno che ha obnubilato i giudizi della Corte”.
È partito da qui l’avvocato Gaetano Scalise nella sua arringa in difesa del prof. Aldo Fierro, primario del Pertini e uno dei sei medici imputati (per lui i pm hanno chiesto la condanna a 6 anni e 8 mesi). Con l’arringa di Scalise si è chiuso il processo, il 5 giugno, eventuali repliche e la camera di consiglio per la sentenza. Sotto processo, anche tre infermieri e tre agenti penitenziari; tutti, a vario titolo e a seconda delle posizioni, accusati di abbandono di incapace, abuso d’ufficio, favoreggiamento, falsità ideologica, lesioni ed abuso d’autorità.
“Per contestare reati come quelli dei capi d’imputazione - ha detto Scalise - sarebbe stato necessario avere la prova che Fierro abbia agito dolosamente. E non è così; senza dimostrare l’esistenza del filo del dolo che lega tutte le imputazioni, non è possibile condannare nessuno”.
In merito al grave reato di abbandono d’incapace contestato il messaggio è stato chiaro: “Cucchi era capace d’intendere e volere, la sua era solo una incapacità derivata dal fatto che era detenuto. Ma non basta che un paziente sia detenuto per configurare l’ipotesi di abbandono”.
La chiusura, con quello che lo stesso Scalise ha definito “un colpo di teatro”, con la lettura di una parte del rapporto della Commissione d’inchiesta istituita dall’Ordine dei medici di Roma per verificare eventuali violazioni deontologiche dei medici imputati. “Non hanno responsabilità - ha letto il difensore dalle pagine del rapporto - e insieme al detenuto sono le vittime di una legislazione che meriterebbe maggiore armonizzazione”. La richiesta finale è stata l’assoluzione del primario del Pertini. [3]
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