
Par di sentirlo, il Cavaliere, mentre con voce flautata annuncia via telefono a Casini: «Sappi, carissimo, che per incontrare prima te di loro ho appena rinviato la cena di stasera con Bossi e Fini...». Mai corteggiamento politico fu più appassionato. E non solo per via delle Regionali, con l’Udc «ago della bilancia», in grado di farla pendere o di qua o di là (proprio ieri Casini ha visto Bersani, e l’esito del faccia a faccia non è stato fantastico). C’è qualcosa di più nell’insistenza con cui Berlusconi insegue i centristi, e quel qualcosa ha parecchio a che vedere con il suo stato d’animo tornato gonfio d’irritazione nei confronti degli alleati. Volendo attingere alle sue confidenze con gli amici, basterebbe affondare le mani. E si raccoglierebbero sfoghi apocalittici della serie «non ne posso più, qui è impossibile governare», con minacciose promesse di portare tutti quanti alle elezioni anticipate nella prossima primavera, altro che Regionali...
L’umore è quello, tipico, che precede i colpi di testa. Casini, da autentico professionista, l’ha capito al volo. Domani si vedranno a Palazzo Chigi, ed è certo che il premier non si limiterà a parlargli del Piemonte e del Lazio, della Puglia e della Campania, ma tenterà di allargarsi, di sondare l’Udc su un possibile nuovo inizio, perché la bizzarria del destino è tutta qui: rotta l’alleanza con i centristi a causa dei loro continui «distinguo», Berlusconi è piombato dalla padella nella brace. Adesso deve dire sempre di sì alla Lega; gli tocca esercitare la propria pazienza con Fini, il quale obietta su tutto, e in particolare su ciò che il Cavaliere più di ogni altra cosa desidera: la soluzione definitiva ai suoi guai con la giustizia, l’arma finale contro i processi che lo inseguono.
Chi sta molto vicino al premier la vede così: «Berlusconi è stufo di essere spremuto come un limone dai suoi cari alleati. I quali vogliono, pretendono, ma gli concedono in cambio solo chiacchiere. Alla prescrizione dei suoi processi lui può arrivare con vari escamotages, ma lo fa impazzire l’idea che gli venga negato il diritto di governare in pace...». E’ il suo chiodo fisso, ormai. E allora, spiegano in via del Plebiscito, «Silvio ha deciso di dire basta, vuole mettere le carte in tavola. La Lega reclama il Veneto? Fini chiede il Lazio? Se lo devono meritare. Il vertice dove erano sicuri di incassare, senza nulla restituire in cambio, slitta perlomeno di una settimana».
Risulta in queste ore un frenetico lavorio per mettere a punto una proposta di legge che faccia le veci del Lodo Alfano. Niente a che vedere con la prescrizione breve («ghedinate», le liquida un ministro coinvolto in prima persona nella redazione del testo), ma qualcosa cui stanno lavorando le menti più creative del governo, si vocifera addirittura di Tremonti: una proposta che sia possibile difendere alla luce del sole, su cui né Fini né la Lega possano nutrire imbarazzi. Pare tragga ispirazione dalla «legge Pinto» che prevedeva, quando fu proposta, un equo indennizzo a chi subisce processi troppo lunghi. Servirà qualche giorno per rifinire la bozza. Quindi Berlusconi riunirà gli alleati, pretenderà un sì o un no definitivo. Magari per iscritto. E solo un attimo dopo la trattativa sulle Regioni entrerà nel vivo.
Casini, in tutto questo, che c’entra? Se domani Berlusconi lo aggancia con le lusinghe o con le minacce (nuova legge sulla «par condicio» televisiva), nessuno dei suoi alleati è più indispensabile. «Non sono ricattabile», aveva fatto sapere due giorni fa. Ieri ha aggiunto: «Una maggioranza è compatta, se no non è più tale...». Ognuno interpreti queste parole come meglio crede.
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