
«Esplodono i suicidi in Cina, in Tibet, e in Italia», esclama Marco Pannella. Il quale da Radio Radicale torna sulla amnistia e sulla marcia che si prepara per il giorno di Pasqua. Ma sembra rimasto solo, ancora una volta, a parlare di diritti. Attorno, la politica si avvita su altri temi; che sembrano riguardarla da vicino.
È come se una scheggia della cosiddetta seconda Repubblica resistesse, mentre qualcosa di ancora indefinito sembrava destinato a sostituirla. Così, nonostante gli appelli del Papa e del Presidente della Repubblica, e nonostante le prime mosse del Guardasigilli, la condizione delle carceri rimane quella che è: un disastro. Ed è un eufemismo: siamo già a 14 suicidi da inizio anno, 40 morti in tutto. È marzo, siamo ancora in tempo per battere ogni record. Eppure, se non fosse per il Pannella roboante, barocco, o anche stralunato quanto si vuole ma, di fatto, unico a discutere anche di diritti di persone comuni e non soltanto di rapporti tra giustizia e politica, ebbene: su quei diritti sarebbe probabilmente già calato il silenzio.
Anche perché, se poi di carceri si discute, lo si finisce per fare, come è accaduto ieri, in un'ottica, per così dire, logistica. Il ministro Paola Severino, infatti, in Antimafia ha spiegato che, costi economici permettendo, si sta valutando se riaprire le carceri di Pianosa e dell'Asinara. E si capisce, anche perché il discorso si lega alla conferma del 41bis che si è dimostrato, ha detto il Guardasigilli, «una misura efficace». Bene. Il fatto è che, poi, a scorrere i notiziari delle agenzie di stampa e a considerare la piega che ha preso il dibattito tra i partiti, sembrava che la condizione carceraria fosse una questione limitata a questo piuttosto che di rivisitazione del concetto di pena, tema sul quale molti giuristi, e anche la stessa Severino, si sforzano di riflettere da tempo.
Eccolo, invece, Pannella spiegare: «Ritengo mio dovere prepararmi come atto di speranza, di resistenza alternativa di fronte ad un potere trionfante, con risse che coprono questa realtà, un potere che nega diritto, diritti, decoro, prepararmi a passare allo sciopero della sete, perché davvero non possiamo continuare a dare la parola agli eventi». C'è già tutto, qui, in queste parole. Ed è la cronaca, come sempre, che si incarica di dimostrarlo.
A tenere banco nel Paese sono le inchieste che a Milano rischiano di abbattere il Pirellone e il centrodestra, quella che riguarda l'ex tesoriere della Margherita Luigi Lusi, le tormentate vicende della giunta guidata da Michele Emiliano a Bari, e ancora: le indagini che coinvolgono, sempre a Milano, esponenti della Lega, quelle che hanno coinvolto il presidente della Regione Emilia-Romagna. Ed è soltanto un rapido sommario del menù degli ultimissimi giorni. Se, poi, si volesse andare oltre, si potrebbe, appunto, riaprire davvero il dossier sulle condizioni carcerarie, sui suicidi in cella, sul rapporto votato un paio di settimane fa dalla commissione Diritti umani del Senato e nel quale si dà conto di come nelle carceri si sia arrivati alla tortura; nelle carceri italiane. Eppure, a Palazzo i problemi sono altri.
Sul tavolo sono tornate le intercettazioni, prima con un intervento del presidente del Senato, Renato Schifani, poi con il vertice di maggioranza a Palazzo Chigi; in questo caso, anche per provare a sgombrare il campo dagli ostacoli che il Pdl aveva messo al testo sulla corruzione, peraltro ieri rinviato ancora una volta. Poi, ci sarebbe la concussione, attorno alla quale come è noto si intrecciano il dibattito sul destino di quel reato e l'agenda giudiziaria di Silvio Berlusconi. Insomma, si discute su un pacchetto di norme che, direttamente o indirettamente, implica un ruolo della stessa politica e il suo rapporto con la giustizia. Diritti, invece, niente.
Anche ciò che in senso stretto rimarrebbe fuori, come la responsabilità civile dei magistrati, è evidentemente da ricollegare al ruolo che la politica intende giocare nel rapporto con la giustizia. E, se è del tutto legittimo che l'Anm ieri, dopo aver incontrato Schifani, si sia espressa contro l'emendamento-Pini, ed è altrettanto legittimo che abbia dovuto incassare la contrarietà delle Camere penali (in fondo si tratta di rappresentanze di categoria e fanno il loro mestiere), destano invece quantomeno qualche sospetto le successive dichiarazioni di tanti parlamentari. E, appunto, la sensazione è che uno sprazzo di ancien régime stia provando a rubare la scena al nuovo che fatica ad avanzare.
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