
Il decreto “svuota-carceri” non ha fatto neanche in tempo a compiere un mese di vita che già è stato “svuotato” dal Senato. E la riforma della geografia giudiziaria è stata appena legittimata dalla Corte costituzionale che già il Senato si avvia a rinviarla. Paradossi italiani, di una politica incapace di produrre “politiche” serie, razionali e coerenti. Eppure era proprio sul terreno delle “politiche” che il premier Enrico Letta aveva chiesto di giudicare l’operato del suo governo di “scopo”. Oggi, di fronte a una maggioranza che procede in modo disordinato e sciatto, continuando a cavalcare il populismo e la paura invece della responsabilità, il governo sembra intimorito e aver perduto la bussola.
Le battaglie dì civiltà, come quella per un carcere sensato che sia “fabbrica di libertà” e non di criminalità, richiedono impegno e determinazione soprattutto sul piano culturale, prima che su quello delle norme. Se non c’è condivisione culturale, le “politiche” diventano schizofreniche e ingannatorie. Chi assimila alla libertà le misure alternative al carcere dice il falso e così chi paventa criminali a piede libero, persino nei casi di stupri di gruppo. Questa torsione della realtà imporrebbe una “tolleranza zero”.
Lo stesso dicasi per chi continua a rappresentare, irresponsabilmente, la nuova geografia giudiziaria come un arretramento dello Stato di fronte alla legalità e alla criminalità mafiosa, ignorando persino quanto affermala Corte costituzionale. La giustizia ha bisogno di parole nuove e leali per produrre “politiche” serie, di crescita culturale, economica e civile. Il governo deve (ri) trovarle. E non solo perché ce lo chiede l’Europa.