
20/10/09
Libero
Cari lettori, oggi dovete scusarmi se non uso farina del mio sacco e ricorro ad ampie citazioni, ma a proposito di giustizia non trovo di meglio che dar la parola a chi se n’è occupato più a lungo di me. Recentemente sugli scaffali sono arrivati due libri dedicati alla materia: uno è firmato da Stefano Livadiotti, giornalista de L’Espresso, l’altro da Stefano Zurlo del Giornale. Pur con titoli differenti (Magistrati, l’ultracasta e La legge siamo noi), trattano dello strapotere dei giudici, da entrambi definiti categoria di intoccabili, che neppure di fronte agli errori o ai reati più gravi è chiamata a rispondere. I volumi attingono agli atti della Disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, la sezione che dovrebbe vigilare sul comportamento delle toghe, e ciò che vien fuori è un atto d’accusa implacabile, al cui confronto gli interventi di Berlusconi appaiono teneri ammonimenti. Do voce al cronista del settimanale debenedettiano: «Quella dei giudici e dei pubblici ministeri è la madre di tutte le caste. Uno Stato nello Stato, governato da fazioni che si spartiscono le poltrone in base a una ferrea logica lottizzatoria e riescono a dettare l’agenda alla politica. Un formidabile apparato di potere che, sventolando spesso a sproposito il sacrosanto vessillo dell’indipendenza, e facendo leva sull’immagine dei tanti magistrati-eroi, è riuscito a blindare la cittadella della giustizia, bandendo ogni forma di meritocrazia e conquistando per i propri associati un carnevale di privilegi».
Gli aneddoti raccolti dai due colleghi offrono un’immagine devastante di chi è chiamato ad amministrare la giustizia. Non solo perché si scopre che in media ogni magistrato lavora appena quattro ore al giorno pur essendo pagato il quintuplo di un italiano normale, ma perché gli episodi dimostrano che chi sbaglia, se veste una toga, non paga mai.
Sanzioni lievi
Il caso più clamoroso e noto è quello di un giudice sorpreso nel bagno di un cinema mentre faceva sesso con un minorenne. Dopo un periodo di sospensione è stato riammesso in servizio, con tanto di promozione e aumento di stipendio. Ai magistrati è bastata una giustificazione che a chiunque altro non sarebbe servita a evitare anni di carcere: ero momentaneamente incapace di intendere e di volere perché avevo battuto la testa contro il portone di casa. Se si è pm però si può farla franca anche se si sono prestati soldi a strozzo o si è ritardato per sette anni un processo per omicidio colposo. Oppure se si dimentica una persona in cella per 15 mesi. Nessun rischio se si è corrotti o se si fa male il proprio mestiere, consegnando in ritardo di anni una sentenza: al massimo tocca un richiamo o una sanzione lieve come la riduzione di qualche mese d’anzianità, con conseguente slittamento dell’attesa promozione, che comunque, anche se rinviata, arriverà.
Il Csm ha dato buffetti sulla guancia a magistrati che si facevano pagare le vacanze da aziende fallite o che hanno chiamato i carabinieri per non saldare il conto al ristorante. Comprensione perfino per i matti, purché ovviamente appartengano all’ordine delle sacre toghe: in tal caso possono passare il tempo a chiedere l’elemosina, a evocare sentenze con sedute spiritiche o abbandonare l’udienza per correre a spegnere improbabili ceci lasciati sul fuoco e nessuno avrà niente da dire.
La vera casta
Riferisce Zurlo che su un migliaio di procedimenti disciplinari aperti tra il 1999 e il 2006 più dell’ottanta per cento si è concluso con un’assoluzione o un proscioglimento. Ma per quelli finiti con una condanna, la pena comminata è stata quasi sempre l’ammonimento: «Poco più di una lavata di capo». Mentre a essere rimossi o destituiti sono stati solo 6 magistrati, meno di uno all’anno.
Di fronte al quadro dipinto dai due libri ogni altra analisi è inutile. L’esame dei procedimenti disciplinari documenta da sola l’aura di intoccabilità dei giudici e dimostra che la vera casta ormai non è più la politica, ma la magistratura. Chi ne fa parte non è un cittadino come gli altri, ma è più uguale degli altri. Su queste pagine il sottosegretario al Welfare Eugenia Roccella ha ricordato il referendum dei Radicali che avrebbe dovuto spianare la strada alla responsabilità civile delle toghe, proponendo di ripartire da lì. Sono d’accordo e sono pronto a impegnarmi a favore di una battaglia sacrosanta per costringere i magistrati a rispondere del proprio operato. Ma a questa va affiancata senza indugi la modifica del Csm, un organo che garantisce ormai solo la lottizzazione dei tribunali e l’intoccabilità dei loro inquilini.
Da oggi Libero raccoglierà le firme di chi vuole aderire all’iniziativa e se saranno tante le porteremo direttamente al ministro della Giustizia, perché si faccia interprete della riforma. Forza cari lettori, ora tocca a voi.
© 2009 Radicali italiani. Tutti i diritti riservati