
C’è una grande speranza negli occhi di Giovanni Cucchi e della moglie mentre i magistrati, che di lì a qualche ora emetteranno la sentenza, sono riuniti in camera di consiglio. Girano sorridenti, un riso amaro ovviamente, nell’aula bunker di Rebibbia e parlano con serenità prima che il verdetto di primo grado li sommerga come una valanga.
“Ho solo timore che le responsabilità delle guardie giurate vengano un po’ attenuate”, confida il signor Giovanni. “Sono fiducioso nei confronti della Corte e sono sicuro che nessuno uscirà di qui con un’assoluzione. Sono troppe le prove che sono state fornite e che hanno ben chiarito i contorni della vicenda”. Ma le sue “certezze”, che sin dall’inizio suonavano come speranze, naufragano qualche ora dopo, alle 17.34, non appena il presidente della III Corte d’Assise, finisce di leggere il verdetto.
“È una sentenza vergognosa e inaccettabile - grida a quel punto Giovanni Cucchi. Tutti hanno visto come hanno ridotto Stefano e questo Stato non è stato in grado di fare indagini per trovare i colpevoli di questo assurdo delitto. Al professor Fierro (il direttore del reparto per detenuti del Sandro Pertini, ndr) hanno dato due anni che è la persona che ha la maggior responsabilità. Questo dice tutto. Noi non ci arrendiamo perché dobbiamo restituire dignità a Stefano”.
“Me lo hanno ammazzato due volte - grida la madre di Stefano, tesa come una corda di violino per tutta la mattinata che esplode dopo la lettura del dispositivo. La verità è là dentro. Stefano è entrato sano ed è uscito morto ammazzato.
Noi andremo avanti perché i colpevoli sono là dentro e devono uscire per forza. Fino a poco fa avevo fiducia nella giustizia, adesso non ce l’ho più”. “Abbiamo sentito che si è esultato tra le forze dell’ordine - prende di nuovo la parola il marito - È inaccettabile, dobbiamo fare autocritica e riflettere. Noi non siamo cittadini di serie b, la legge è uguale per tutti. Abbiamo aspettato tanto per arrivare a questa sentenza e ancora nessuno ci ha spiegato chi è stato a uccidere Stefano. È morto da solo? Questo dice la sentenza. Come si può sostenere tutto ciò? Come?”.
Affranta ma battagliera come sempre Ilaria Cucchi, abbracciando i genitori, reagisce, ancora una volta, alle parole dei giudici. “Noi non ci arrendiamo, la nostra battaglia continua. Mio fratello è morto di ingiustizia - dice amaramente - I medici dovranno fare i conti con la loro coscienza, ma mio fratello non sarebbe morto senza quel pestaggio.
La verità non è la giustizia, la verità la sappiamo noi” sostiene rivolgendosi ai tanti che per otto lunghe ore hanno atteso la sentenza sugli spalti dell’aula bunker stringendosi idealmente attorno a lei e ai suoi genitori. “Grazie mille di essere qui, continueremo la nostra battaglia, non ci arrendiamo”, sottolinea mentre in quattro sollevano un grande striscione di solidarietà: “Ilaria non sei sola, giustizia per Stefano”. [3]
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