
L'unico vero smacco subito dal governo guidato da Mario Monti, nelle poche settimane trascorse dalla sua nascita, è quello del dietrofront sulle liberalizzazioni che, dopo essere state inserite nella manovra salva-Italia, sono uscite - nottetempo - dà testo definitivo licenziato dal Parlamento. Gli italiani cercano ancora il colpevole della rimozione, visto che nessun leader politico si azzarda ad opporsi apertamente a misure che sono viste, dalla stragrande maggioranza dei cittadini, come un simbolo della lotta ai privilegi della casta dei professionisti. Ognuno vorrebbe, ovviamente, liberalizzare i settori in cui pescano elettoralmente i suoi avversari, e non quelli del proprio bacino: battere le resistenze di lobby e corporazioni, quindi, non sarà affatto facile nemmeno per un premier che è stato commissario europeo alla Concorrenza ed un sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Antonio Catricalà, che arriva fresco fresco dalla poltrona di numero uno dell'Antitrust.
Tra i punti più spinosi in agenda, c'è la riforma delle professioni: e, quando si parla di Ordini, il primo che viene in mente, l'Ordine per eccellenza, è quello degli avvocati che si sono dimostrati, in più di un'occasione, capaci di farsi rispettare. A dimostrarlo, la rivolta di 22 avvocati parlamentari del Pdl che, nell'estate scorsa, hanno fatto naufragare il pacchetto di liberalizzazioni allo studio dell'allora esecutivo Berlusconi (che prevedeva l'abolizione dell'esame di abilitazione anche per la professione forense) con una semplice lettera in cui minacciavano di far cadere il governo, se la misura non fosse stata ritirata (così come poi è effettivamente accaduto). Accusati di voler difendere i propri privilegi, gli avvocati rispondono che la loro intenzione è solo quella di tenere alta la professionalità degli iscritti all'Ordine, soprattutto a tutela della clientela, e negano intenzioni ostruzionistiche, ricordando che alla Camera è bloccata una riforma dell'ordinamento forense, già approvata al Senato, alla quale l'avvocatura ha dato il suo contributo. Per questo hanno già minacciato, nelle scorse settimane, scioperi e proteste clamorose contro riforme che non dovessero coinvolgerli attivamente nella stesura. Tante le voci circolate che non sono piaciute ai vertici della categoria: il ministro della Giustizia, Paola Severino, ha dato rassicurazione su una di esse negando l'intenzione del governo di abolire l'Ordine, al quale, tra l'altro, è iscritta.
Restano, però, sul tappeto questioni di primaria importanza, quattro in particolare: l'abolizione delle tariffe minime, la possibilità per gli avvocati di creare società di capitali anche con la maggioranza detenuta da non iscritti all'Albo, le modalità di accesso alla professione e l'equo compenso dei praticanti. Per quanto riguarda il primo punto, c'è da notare che le tariffe minime sono state già abolite nel 2006 dal decreto Bersani: oggi, quindi, il cliente può liberamente negoziare la parcella con l'avvocato. Le tariffe fissate dall'Ordine restano applicabili solo in caso di gratuito patrocinio e liquidazione giudiziale (quando, cioè, spetta al giudice stabilire in un procedimento i compensi): in questi due casi sarebbe, tra l'altro, dannoso, secondo gli avvocati, eliminare definitivamente le tariffe (attraverso l'abrogazione dell'articolo 2233 del codice civile) perché verrebbero meno criteri oggettivi per la determinazione dei compensi che rischierebbero, quindi, di essere calcolati in maniera arbitraria.
Per quanto riguarda le società di capitale, chi ne vuole l'introduzione pensa ad un mercato più libero, con l'ingresso di nuovi soggetti e una maggiore concorrenza che determinerebbe un servizio di più elevata qualità a tariffe più basse.
Gli avvocati temono, invece, che si possa snaturare la professione forense, in cui contano molto le qualità individuali, assimilandola ad un'impresa commerciale che consentirebbe il controllo di studi lega- li, attraverso il capitale, anche ad avvocati radiati dall'Albo, piuttosto che a banche, assicurazioni e grandi aziende fornitrici di servizi, soggetti contro i quali più spesso intentano cause civili i cittadini.
Le questioni più spinose sono, però, quelle che riguardano l'accesso alla professione e il trattamento economico dei praticanti: nel primo caso, scartata l'abolizione dell'esame di abilitazione (che è un tabù per i vertici della categoria che ritengono, tra l'altro, già troppo facile l'accesso alla professione), si parla di riduzione del periodo di tirocinio; nel secondo, c'è l'esigenza di dare risposta ai tanti giovani che accettano di lavorare negli studi legali anche gratuitamente.
Secondo la ricerca "Professionisti: a quali condizioni?" dell'Ires Cgil, solo il 43,8% dei praticanti avvocato sondati riceverebbe un compenso mensile. I senatori radicali Donatella Poretti e Marco Perduca propongono, inoltre, di abolire il limite di 6 anni all'esercizio limitato del patrocinio (concesso a chi è praticante da almeno 12 mesi) per evitare che, se in questo arco di tempo non si supera l'esame di abilitazione, si perda la possibilità di patrocinare in proprio: così si potrebbe creare la figura intermedia del patrocinatore legale, che potrebbe dar sbocco economico a migliaia di tirocinanti.
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