
Le lacrime che rigano il viso di un uomo di 62 anni. Il senso di impotenza di chi non sa come difendersi e la brutta sensazione di aver mandato tutto a puttane, perla seconda volta. Questo è Claudio Scajola davanti alla stretta cerchia di deputati e collaboratori. Ed è prima mattina. «La mia carriera politica è finita, adesso che faccio?», il ministro dello Sviluppo economico è disperato. Ministro ancora per qualche ora: parla con il sottosegretario Gianni Letta, poi ufficializza le dimissioni. Lunedì sera era rientrato di volata da Tunisi per provare a salvare la poltrona, missione fallita. Manca il contatto con Silvio Berlusconi, che non ha intenzione di blindare Scajola come ha fatto in precedenza con Denis Verdini o Guido Bertolaso. La sensazione di una certa freddezza del Cavaliere pervade l’uomo del nucleare fin dall’incontro avuto con il premier lo scorso giovedì. E ha fondamento: Berlusconi ha motivi per sospettare che la vicenda di casa Scajola non sia che una parte di uno sputtanamento di più ampie dimensioni. Enormi, forse. E che coinvolgerebbero - si vocifera nella maggioranza - almeno quattro importanti esponenti del Popolo della Libertà. Il sacrificio scajoliano era inevitabile, allora. Specie perché gli ultimi sondaggi dicono al Cavaliere che le inchieste sulla corruzione, vera o presunta tale, hanno un effetto devastante sul consenso dell’intero governo.
E se con i suoi il plenipotenziario ligure arriva ad agitare il "demo-pluto" complottone («Questa cosa non nasce in Italia, con il ritorno al nucleare ab biamo toccato gli interessi dei francesi, è da loro che compriamo energia»), Berlusconi si limita, conversando a Palazzo Chigi con alcuni suoi parlamentari al «solito accanimento giudiziario» strapompato dai giornali: «In Italia c’è fin troppa libertà di stampa».
Verso le cinque Scajola varca la soglia della presidenza del Consiglio. Alcuni minuti di faccia a faccia con Berlusconi, poi un altro incontro con Letta. Silvio ha stima per Claudio, «un ministro tres capable», molto capace. Dirama un comunicato di «solidarietà in cui elogia « il suo alto senso dello Stato». Scajola, scrive, dimostrerà «la sua totale estraneità ai fatti». Nel frattempo, però, Berlusconi ha la necessità di badare alla stabilità del governo e non può lasciare aperti spifferi. Con l’addio a Scajola si apre il problema della successione. Ci sono varie soluzioni in ballo e quella che circola con più insistenza è l’ipotesi che Silvio tenga per sé l’interim del ministero dello Sviluppo economico. Questo per un tot di tempo in attesa che si calmino un po’ le acque. L’altra idea berlusconiana è di agire velocemente con un blitz e qui le alternative sono numerose. La più "facile" è la promozione di Paolo Romani, attuale vice ministro con delega alle Comunicazioni.
Poi, in Transatlantico, girano pure altri nomi. I piemontesi Guido Crosetto ed Enzo Ghìgo, per esempio. Ma anche Mario Valducci, Guido Possa, Fabrizio Cicchitto. C’è poi la classica carta tecnica (Luca Cordero di Montezemolo, voce che si autosmentisce da sola) o la sorpresa al femminile (Luisa Todini). Per certo non sarà un leghista e Silvio l’altra sera l’ha fatto capire, chiaro e tondo, a Umberto Bossi in una conversazione telefonica. Insomma, di tutto e di più. Il PdL è un pentolone che ribolle. Ed è proprio questa la cosa che più urta Berlusconi. Menomale che lo attendevano tre anni di serena navigazione con le riforme e tutto il resto. Tale e quale: la tentazione di mandare tutti a quel paese e riportare il Paese alle urne c’è sempre. Sullo sfondo, ma c’è sempre. Di nuovo, il premier è tornato a criticare il presidente della Camera e le sue uscite. E ieri, in una concitata riunione del direttivo del gruppo PdL alla Camera, berluscones e finiani se le sono date di santa ragione. «Evitiamo che le fibrillazioni del partito arrivino alla Camera», ha chiuso il suo intervento Italo Bocchino, «o il rischio è che caschi il governo».
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