
11/10/10
Corriere della Sera
Oltre 140 feriti e 250 fermi Oltre 140 feriti, 250 fermi, 6 mila agenti schierati per una marcia di quindici minuti. Il Gay Pride di Belgrado, il primo portato a compimento nel Paese balcanico, segna una tappa importante nel progresso dei diritti umani e civili, ma la guerriglia urbana scatenata da ultrà e skinhead per fermarlo costringe il presidente serbo Boris Tadic a denunciare «un attacco allo Stato» e promettere pene esemplari per i responsabili. Un ulteriore test per il governo filo-europeo chiamato a dar prova di maturità democratica e guadagnare la fiducia di Bruxelles - il 25 ottobre la richiesta d'ingresso nell'Unione sarà discussa dal Consiglio dei ministri degli Esteri Ue.
L'appuntamento era storico. Nel 2001 il corteo dell'orgoglio omosessuale era stato stroncato sul nascere e negli scontri erano rimaste ferite quaranta persone. Nel settembre dello scorso anno la manifestazione fu cancellata all'ultimo momento, quando le forze dell'ordine ammisero di non poter garantire la sicurezza. Nel marzo 2009, al termine di un iter ostacolato dalla dura opposizione della Chiesa ortodossa, il Parlamento serbo ha adottato una legge che cita esplicitamente, tra le forme di discriminazione messe al bando, quella sulla base dell'orientamento sessuale. Come ha però evidenziato ieri l'ambasciatore Ue a Belgrado Vincent Degert, «c'è ancora molto da lavorare» per trasferire la battaglia dal piano legislativo a quello della concreta vita sociale.
Ieri mattina la manifestazione si è aperta tra bandiere arcobaleno e canzoni degli Abba nel centrale Parco Manjez. «Oggi - ha dichiarato l'organizzatore Boban Stojanovic - non siamo solo omosessuali. Rappresentiamo ogni Rom, ogni donna e bambino in pericolo in questa società». Un corteo di circa 1.500 persone si è avviato per le vie isolate dagli agenti anti-sommossa, molti a cavallo, seguiti a distanza dagli elicotteri. Un quarto d'ora per sfilare in direzione del Centro culturale studentesco dove si è tenuto il concerto conclusivo. All'uscita camionette della polizia aspettavano i manifestanti per portarli al sicuro. «E che succede se attaccano i convogli o aspettano che la polizia ci lasci soli?» si domandavano spaventati i partecipanti.
In serata è stata registrata l'aggressione a un attivista che rincasava in periferia. I 140 feriti, prevalentemente agenti, sono rimasti coinvolti lontano dal Gay Pride, nel centro città trasformato in campo di battaglia e attraversato da lugubri slogan come «Comincia la caccia», «Morte agli omosessuali», «Poliziotti andate in Kosovo». Centinaia tra neonazisti, membri di tifoserie estremiste e gruppi dell'ultradestra hanno aggredito gli agenti con molotov, sassi, mattoni e segnali stradali, appiccato il fuoco alla sede del Partito democratico di Tadic, danneggiato uffici del Partito socialista del defunto dittatore Slobodan Milosevic e dell'attuale ministro dell'Interno Ivica Dacic (che stimava i militanti in 6 mila). La polizia ha risposto con gas lacrimogeni, fermato otto ultrà che avevano lanciato la scalata al Parlamento. Autobus dirottati, negozi saccheggiati, attaccata la sede della Tv pubblica, la stessa davanti alla quale protestava l'opposizione all'inizio degli anni Novanta e che fu colpita dalle bombe Nato del '99. Per il sindaco di Belgrado Dragan Djilas i danni superano il milione di euro. «E stato un tentativo di destabilizzare il governo - commenta l'analista Miljenko Dereta dell'Associazione iniziativa civica -, gli estremisti hanno appoggi politici».
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