
Giovanni Bovio, leader storico dei repubblicani, commentò l’uccisione di Umberto I a Monza da parte dell’anarchico Bresci: «Ha tolto qualche anno di vita al vecchio re e ne ha aggiunti molti alla monarchia». Ci auguriamo che questa riflessione non sia parafrasabile per lo psicopatico Tartaglia, che ha sottratto per qualche giorno Berlusconi alla scrivania di palazzo Chigi ma non credo abbia regalato molti anni al berlusconismo. Come del resto sperano anche i malpancisti del Pdl. Ma non anche quei sottoprodotti che, una volta pensionato il capo e la sua politica, sono destinati a tornare nel nulla.
Così, quella che potrebbe essere una nostra preoccupazione, e cioè che i fili della politica di centrosinistra possano subire intralci, annodamenti indesiderati e, in definitiva, rinvii della maturazione, diventa l’assillo dei berlusconiani senza avvenire, che si domandano: Casini manterrà o no la sua proposta di costituire un’alleanza di tutti i democratici da opporre all’asse Pdl-Lega, in caso di elezioni anticipate?L’assillo dei colonnelli circa il mantenimento della proposta e il suo successo, che erano prevedibili prima di piazza Duomo, congela anche le strategie elettorali di Berlusconi.
Il capo della destra ha sempre vinto le elezioni grazie allo spappolamento dei suoi alleati. Nel ’94 per la divisione tra “progressisti” di Occhetto e “patto per l’Italia” di popolari e segnani.
Nel 2001 per l’ordine sparso del centrosinistra che pure aveva governato cinque anni e che Rutelli, coi “pezzi” raccolti intorno a lui, portò quasi al pareggio con la destra. Nel 2008 sempre per l’amore della dissolvenza che è connaturato a tutte le sinistre e che portò Veltroni a illudersi che la vocazione maggioritaria di un solo partito potesse trasformarsi in consenso maggioritario del paese.
Sapendo tutto questo e sperando che duri, la destra, che oggi raccatta perfino gli Storace e le Santanché, ulula contro le criminose contaminazioni possibili a sinistra, da Di Pietro a Rosy Bindi. Se la demonizzazione delle possibili alleanze di centro e sinistra riuscisse (così allungando gli anatemi del berlusconismo, che in 15 anni hanno superato quelli del più incallito papa medievale), allora potrebbe essere fortissima a destra la tentazione di giocare subito la carta elettorale. Si sa che l’emozione per il sangue – fortunatamente poco – di piazza Duomo riprone in ognuno di noi, in termini psicologici se non sempre elettorali, l’emozione per il sangue di Moro: una Dc ridotta a faide interne, come le lettere di Moro dalla prigione confermavano, si trovò rianimata dalla solidarietà nazionale – che intorno al cadavere di via Caetani nel ’78 fu vera, senza se e senza ma – e alle elezioni anticipate del ’79 la tendenza della Dc al declino s’invertì: 38,8 per cento. Una boccata d’ossigeno, ma nell’’83 il crollo al 32,9 e, nelle europee dell’anno dopo, il sorpasso da parte del Pci. Tutto sfuma subito nella vita, anche le passioni e i dolori, gli amori e le nostalgie.
E alla Dc non restò che affidare la sua agonia alla nutrizione e all’idratazione forzata del craxismo.
A noi sembra che la carta della grande alleanza di Casini, Bersani, Rutelli con occhio a Ferrero e a Di Pietro e, più in là, a Fini e ad altri democratici (per rubare un’espressione a Marco Pannella, «non un’alleanza di partiti laici, ma un’alleanza laica di partiti») sarebbe un freno ad eventuali decisioni politico-emotive della destra sulla data delle elezioni.
E consentirebbe al centro e alla sinistra non solo di organizzarsi meglio, ma soprattutto di riflettere sulla prospettiva post-elettorale, che il progetto di Casini dichiara con molta franchezza.
E cioè che, vinte le elezioni, i singoli partiti dell’alleanza non saliranno su un predellino d’automobile, ma stipuleranno accordi di collaborazione, ciascuno col proprio bagaglio culturale. Si avvierebbe così a superamento quel bipolarismo all’italiana – nato non dalle viscere italiane ma dal seme di altre culture – che è la nostra vera gabbia della violenza e dell’odio: come ha ricordato finalmente Paolo Pombeni qualche settimana fa. I partiti costretti a stare insieme per vincere; gli elettori costretti a scegliere non il più vicino ma il meno lontano; le istituzioni nate per una repubblica parlamentare e sottoposte alle tensioni di un presidenzialismo che rianima il fascismo e nei cittadini il manzoniano inestinguibil odio ed indomato amor; la nuova trasformazione dei partiti in parti (non solo ghibellini e guelfi, ma “di parte nera” e di “parte bianca”); hanno distrutto la condizione primaria della democrazia che sta nel ripudio delle teoria nazista della politica come guerra tra Amico e Nemico (così cara al Berlusconi dei “comunisti che mangiano i bambini”), e nella concezione invece della convivenza civile come dialettica tra avversari: tutti vegetariani o cautamente onnivori, tutti abilitati a governare senza le demonizzazioni che sono figlie del dogma e dell’odio.
Tifiamo più che mai per l’idea di Casini (anche se come liberali siamo culturalmente lontani da lui quanto da Ferrero) dopo che la reazione della destra, quella dell’“ultima ridotta in Valtellina”, ci ha confermato l’estraneità antropologica non di un pazzo, che l’inapplicata legge Basaglia regala alla società con gli auguri che non le nuoccia; ma della guardia nazionale politico-giornalistica che addita la fonte di Tartaglia nella Costituzione, nei suoi organi: corte costituzionale ma, sottinteso, Quirinale.
A questo ci ha portato il bipolarismo, dopo che uno dei poli è caduto in mano a chi a tutto è interessato fuorché alla democrazia. A quelle mani possiamo strappare la sorte della nostra democrazia, solo unendo tutti i democratici che non ne possono più della prevaricazione, causa della rivolta e, per gli incolti, dell’odio. Lo ricordiamo a don Verzè, il don Albertario dei miliardari, perché possa dirlo a Berlusconi che glie ne domanda l’origine.
© 2009 Radicali italiani. Tutti i diritti riservati