
La prima reazione è di forte solidarietà con gli abitanti delle zone colpite. Ancora morti sui luoghi di lavoro, dentro quelle fabbriche in cui con tenacia, genialità ma anche con fatica e talvolta sacrificio si costruisce una parte importante dell'eccellenza manifatturiera dell'Italia. E la terribile consapevolezza che la cosa non è finita, l'angoscia di temere la propria casa come luogo in cui il pericolo può colpire all'improvviso. Vogliamo essere tutti vicino a quella gente, con il cuore, ma non soltanto con quello. Vogliamo che il Paese si chieda, subito, che cosa si può fare immediatamente per loro e che cosa si deve fare per il futuro.
Mentre geologi e protezione civile provvedono alle incombenze tecniche e operative, bisogna subito pensare all'interruzione delle filiere produttive che un'incertezza prolungata riguardo all'agibilità delle strutture produttive può ingenerare.
Lo tsunami di Fukushima ha insegnato che lo scompaginamento delle filiere produce danni non soltanto localmente, ma in un raggio che nel caso giapponese è arrivato a dimensioni intercontinentali, data la presenza in quei luoghi di fornitori esclusivi di componenti e intermedi usati in tutto il mondo. L'Emilia Romagna è una regione ad alta suddivisione delle filiere in specializzazioni di fase, di tecnologia e di prodotto: la competitività dei produttori finali spesso dipende anche dalle prestazioni, dalle caratteristiche qualitative e dall'efficienza dei fornitori. E' assolutamente necessario che non solo le aziende colpite, ma anche quelle che sono con esse in relazioni di interazione funzionale vengano messe in condizione di non interrompere, o di riprendere al più presto la produzione. Il che può significare anche spostare la stessa temporaneamente al di fuori di un perimetro che circoscriva la zona temporaneamente non sicura. Un compito sicuramente eccezionale, da svolgere con strumenti non ordinari, contando magari sul contributo delle stesse associazioni imprenditoriali: un "prestito di capannoni" per dirla in modo semplice, che andrebbe velocemente organizzato utilizzando i non pochi immobili industriali al momento inoperosi nelle zone circostanti.
Non tutte le produzioni possono essere spostate: molte necessitano di impianti e attrezzature specifiche che non si possono facilmente rimuovere e ricollocare. La soluzione è quindi quella di riparare e ricostruire secondo criteri antisismici adeguati al livello di rischiosità rilevato. Questo è il compito per il futuro, da affrontare subito predisponendo le prospettive che lo renderanno possibile.
Perché ricostruire le fabbriche e le case costerà; ma ciò non porrà un problema insuperabile, poiché si tratta di investire in produzioni, e in case per coloro che vi partecipano, che sono in grado di produrre reddito e quindi di ripagare l'investimento. L'unico problema è la necessità di anticipare il capitale necessario. E neppure questo è un vero problema, in un Paese in cui il grande stock di risparmio accumulato è alla ricerca di collocazione sicura, che lo protegga da rischi monetari o di altro tipo. Si dia a questi investimenti una prospettiva certa di protezione e di ritorno, con adeguati strumenti fiscali, e ne deriverà un flusso di domanda aggiuntiva che non potrà che essere di aiuto, non solo per i terremotati.
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