
Novecento chilometri separano Vasto da Palermo, ma mai come ora le due città sono state tanto vicine. Proprio nella cittadina in provincia di Chieti lo scorso settembre Pier Luigi Bersani salì sul palco, sulle note della «Canzone popolare», e fu immortalato in un'istantanea che ritraeva tre sorridenti leader del centrosinistra: oltre a lui, il padrone di casa Antonio Di Pietro e Nichi Vendola. Foto simbolica, che alludeva a una possibile alleanza, subito finita in disgrazia a Roma, sgretolata dall'avvento del governo tecnico e dagli ammiccamenti democratici al Terzo Polo. Ma, a sorpresa, più per circostanze locali che per una scelta nazionale, l'alleanza virtuale di Vasto è tornata di scena a Palermo. Dove i leader nazionali del centrosinistra, tutti uniti più o meno appassionatamente, hanno dato il loro sostegno a Rita Borsellino. La sorella del magistrato ucciso dalla mafia, candidata ufficiale, si è trovata sfidata da un «rottamatore» renziano, Davide Faraone, da un pd non ostile a Raffaele Lombardo, Fabrizio Ferrandelli, e da un esponente della «società civile», Antonella Monastra. Voto locale, dunque, ma anche voto nazionale. E il fatto che la Borsellino sia stata costretta fino a tarda notte ad una battaglia (persa) all'ultimo voto, nonostante il sostegno di tante forze politiche (Pd, Idv, Sel, ma anche Psi e Verdi), è un segnale d'allarme. Che da Palermo, passa per Vasto e arriva a Roma.
Bersani lo ha ripetuto spesso negli ultimi tempi, quasi a mettere le mani avanti: «Siamo un polmone aperto. Magari le primarie possono provocare qualche disordine, ma è tutta roba buona. Bisogna star larghi con la testa. E poi le primarie si giudicano dalle secondarie». Tutto vero, ma certo «qualche disordine» di troppo lo stanno provocando le primarie democratiche. A cominciare da Milano, dove Giuliano Pisapia ebbe la meglio sul pd Stefano Boeri anche per la presenza di un altro candidato democratico, Valerio Onida. Per finire con Genova, dove le democratiche Marta Vincenzi e Lorenza Pinotti sono state sbaragliate da Marco Doria, sostenuto da Sel. Che qualcosa non funzioni nel meccanismo lo dicono ormai in molti. Ma queste primarie palermitane, con ben tre candidati del Pd, sono un'ulteriore conferma che difficilmente potrà essere ancora ignorata e che spingerà qualcuno a rivendicare la necessità di primarie di partito.
Ma non è questo l'unico grattacapo per Bersani. Perché il voto di Palermo porta allo scoperto le diverse linee di frattura nel Pd. Quella giovani-vecchi, innanzitutto, con il rottamatore Matteo Renzi che gioca di sponda con Faraone per lanciare un preavviso di discesa in campo. Quella fondamentale sulle alleanze, tra sinistra e Terzo Polo. Ma anche cella del controllo del territorio, con un Pd siciliano sull'orlo di una scissione. Se il segretario Giuseppe Lupo ha puntato tutte le sue carte sulla Borsellino, una consistente parte del partito - da Giuseppe Lumìa a Antonello Cracofici - ha deciso di volgere lo sguardo verso Fabrizio Ferrandelli. E non è un segreto per nessuno che dietro ci sia l'ombra di Raffaele Lombardo, nonostante tutti i candidati del Pd abbiano dovuto firmare un documento che in sostanza dice no ad accordi con il Terzo Polo. E mentre a Palermo ci si interrogava sulla sfilata di immigrati tamil e di cooperative di ex detenuti, mentre Faraone denunciava finanziamenti del partito a favore della Borsellino (smentiti), Bersani, ormai «larghissimo con la testa», faceva i conti con i nuovi disordini» causati dalle primarie. «Tutta roba buona», certo, che però potrebbe avere ripercussioni sul suo partito e sulla sua leadership.
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