
Da quando si è insediato a capo dell’amministrazione penitenziaria (agosto 2008) di dichiarazioni o interviste se ne sono sentite poche da Franco Ionta. Abituato a lavorare molto e parlare poco in procura a Roma, quando da aggiunto ha guidato anche il pool antiterrorismo, ha pensato bene di mantenere analoga riservatezza in questa nuova veste, che peraltro gli ha assicurato subito i galloni di commissario straordinario con poteri speciali per l’annunciato ma non ancora attuato piano per l’edilizia carceraria. Le parole che dunque ieri ha rivolto ai poliziotti penitenziari si spiegano solo con la situazione molto tesa delle carceri che le tragiche morti di Stefano Cucchi e Diana Blefari Melazzi hanno catapultato su tutti i media.
In comune però, i due casi, hanno “solo” gli istituti di pena dove il primo si è ritrovato per pochi grammi di droga ed è finito pestato e cadavere, mentre la brigatista che aveva pedinato Marco Biagi (la sentenza definitiva all’ergastolo le era stata notificata qualche ora prima) è riuscita a impiccarsi nella sua cella nonostante il suo precario equilibrio psichico fosse stato denunciato a più riprese. Anche se sono stati i giudici a considerarlo «compatibile» con la detenzione ritenuta anche da Ionta «più che dignitosa ». Il punto è che in carcere si può e si deve impedire che accadano certi eventi, che invece si moltiplicano.
La differenza sta solo nel clamore che riescono a suscitare sempre che se ne venga a conoscenza: è stata la radicale Rita Bernardini a denunciare «l’omertà del Dap rispetto alle tragedie che si consumano dietro le sbarre » per un altro suicidio nel carcere di Castrovillari di cui si è saputo dopo tre settimane. Quel che funziona negli istituti di pena è davvero poco, a dispetto dell’abnegazione di chi ci lavora e delle condizioni inumane in cui sono costretti i detenuti. Più che di progetti edilizi di là da venire, l’amministrazione penitenziaria dovrebbe gestire al meglio le risorse che ci sono riuscendo soprattutto ad ottenerne di nuove.
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