
10/05/10
Corriere della Sera
«Chiedere un cambio di passo non significa dire cazzate, ma fare un atto d’amore per il partito». Non usa una parola qualunque dal palco di Cortona Dario Franceschini, per chiudere la tre giorni di Area democratica. Perché dalla Sardegna venerdì Pier Luigi Bersani aveva spronato il partito a «occuparsi di lavoro e non di cazzate». Mentre Cortona si svuota, Franceschini commenta: «Alcuni giornali hanno riferito quella battuta a noi: io ci sono rimasto male, sono parole fuori posto». Riferite o no ad Area democratica, il clima nel partito è sempre effervescente.
L’ex segretario assicura che «qui nessuno ha mai parlato di scissioni», ma invita a non sottovalutare «il disagio»: «Troppa gente è uscita dal partito negli ultimi sei o sette mesi senza che si avvertisse il dolore
della perdita». Il giorno dopo il rientro di Walter Veltroni - per alcuni ntusiasmante, per altri ingombrante - pochi lo citano. Franceschini nega «gelosie»: «Liberiamoci da queste ragnatele mentali». Sarà, ma le correnti si increspano e i rivoli fioriscono. Beppe Fioroni non rinnova dal palco l’ultimatum-addio lanciato ieri dietro le quinte, che si era guadagnato gli strali di David Sassoli. Ma non è meno duro: «Provo rabbia. Bersani cambi linea o il partito è finito». Voglia di accomodarsi sulla poltrona di vicesegretario? «Vice di che? Di un progetto e di una linea che non condivido? A queste condizioni, meglio uscire dalla gestione collegiale». Franceschini assicura: «Siamo una voce libera e leale». Ma chiede un «partito plurale» e invita a non chiudersi nel «fortino identitario». Difende il bipolarismo, «anche dopo Berlusconi» e avverte: «Sbaglia chi vuole trascinare Fini fuori dalla destra».
Chiede primarie nelle grandi città entro il 31 ottobre. Quanto all’eccesso di sinistra lamentato da Fioroni, qui a Cortona non si vede. Franceschini non vuole partiti del Nord, «basta con le stupidaggini», ma è pronto ad ammettere i «gravi errori del passato»: «Dobbiamo chiedere scusa ai commercianti, agli artigiani che abbiamo chiamato evasori: non li abbiamo capiti. Abbiamo chiesto di pagare le tasse fino all’ultima lira, sapendo che andavano a finanziare la burocrazia». E anche sull’immigrazione è mea culpa: «Giusta la società multietnica, ma abbiamo sbagliato quando governavamo a non fare battaglie per, la sicurezza e contro i fenomeni legati al crimine. Compreso l’immigrato che vende cd per la strada».
Non è leghismo, perché poi Franceschini rivendica la cittadinanza e l’integrazione. Ma l’ombra del Carroccio aleggia. Piero Fassino, che parla addirittura di «Padania», dice: «A volte mi considerano un leghista». A torto, s’intende, «anche se qualche volta, lo dico con franchezza, sento che il leghismo
nel mio cuore prorompe». E cita l’immigrazione al Nord che «è il doppio della media del Paese: la Lega vince perché presidia questi temi». Poi cita i laburisti inglesi: «Hanno scritto nel rogramma che entrare nel Regno Unito è un privilegio, non un diritto». Sul partito Fassino è più lealista di Veltroni: «Nessuno mette in dubbio il congresso». Ma il rinnovamento serve: «Non so se abbiamo bisogno di un Papa nero, ma so che i cardinali non possono essere sempre gli stessi. E parlo anche per me». Quello che non è accettabile è che «il partito ci viva come un fastidio: noi siamo una ricchezza, un giacimento di idee».
L’ex segretario assicura che «qui nessuno ha mai parlato di scissioni», ma invita a non sottovalutare «il disagio»: «Troppa gente è uscita dal partito negli ultimi sei o sette mesi senza che si avvertisse il dolore
della perdita». Il giorno dopo il rientro di Walter Veltroni - per alcuni ntusiasmante, per altri ingombrante - pochi lo citano. Franceschini nega «gelosie»: «Liberiamoci da queste ragnatele mentali». Sarà, ma le correnti si increspano e i rivoli fioriscono. Beppe Fioroni non rinnova dal palco l’ultimatum-addio lanciato ieri dietro le quinte, che si era guadagnato gli strali di David Sassoli. Ma non è meno duro: «Provo rabbia. Bersani cambi linea o il partito è finito». Voglia di accomodarsi sulla poltrona di vicesegretario? «Vice di che? Di un progetto e di una linea che non condivido? A queste condizioni, meglio uscire dalla gestione collegiale». Franceschini assicura: «Siamo una voce libera e leale». Ma chiede un «partito plurale» e invita a non chiudersi nel «fortino identitario». Difende il bipolarismo, «anche dopo Berlusconi» e avverte: «Sbaglia chi vuole trascinare Fini fuori dalla destra».
Chiede primarie nelle grandi città entro il 31 ottobre. Quanto all’eccesso di sinistra lamentato da Fioroni, qui a Cortona non si vede. Franceschini non vuole partiti del Nord, «basta con le stupidaggini», ma è pronto ad ammettere i «gravi errori del passato»: «Dobbiamo chiedere scusa ai commercianti, agli artigiani che abbiamo chiamato evasori: non li abbiamo capiti. Abbiamo chiesto di pagare le tasse fino all’ultima lira, sapendo che andavano a finanziare la burocrazia». E anche sull’immigrazione è mea culpa: «Giusta la società multietnica, ma abbiamo sbagliato quando governavamo a non fare battaglie per, la sicurezza e contro i fenomeni legati al crimine. Compreso l’immigrato che vende cd per la strada».
Non è leghismo, perché poi Franceschini rivendica la cittadinanza e l’integrazione. Ma l’ombra del Carroccio aleggia. Piero Fassino, che parla addirittura di «Padania», dice: «A volte mi considerano un leghista». A torto, s’intende, «anche se qualche volta, lo dico con franchezza, sento che il leghismo
nel mio cuore prorompe». E cita l’immigrazione al Nord che «è il doppio della media del Paese: la Lega vince perché presidia questi temi». Poi cita i laburisti inglesi: «Hanno scritto nel rogramma che entrare nel Regno Unito è un privilegio, non un diritto». Sul partito Fassino è più lealista di Veltroni: «Nessuno mette in dubbio il congresso». Ma il rinnovamento serve: «Non so se abbiamo bisogno di un Papa nero, ma so che i cardinali non possono essere sempre gli stessi. E parlo anche per me». Quello che non è accettabile è che «il partito ci viva come un fastidio: noi siamo una ricchezza, un giacimento di idee».
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