Articolo di Alessandro Calvi pubblicato su Il Riformista, il 01/12/10
In strada volavano uova contro la polizia; a Montecitorio voti contro il governo. Già, perché anche nel giorno nel quale sperava di camminare sul velluto, il governo è andato sotto un paio di volte sulla riforma dell’università. E non è tutto: Fli in aula ha chiesto un nuovo governo. E ci si è messo anche Bossi a dire che gli studenti non hanno poi tutti i torti. In serata la riforma è passata. Ma quello di ieri, per come è arrivato, è un "sì" che non annuncia nulla di buono per il Pdl.
Dunque, alla Camera è finita 307 a 252; 7 gli astenuti. I sì sono di Pdl, Fli e Lega, Api si è astenuta, il Pd ha votato no. Silvio Berlusconi alla fine, parlerà di successo del governo del fare. Il ministro Gelmini invece può tirare un sospiro di sollievo. Ma è già battaglia sulla calendarizzazione al Senato dove la riforma arriva in terza lettura. I numeri espressi ieri da Montecitorio, poi, non raccontano tutta la verità e, per avere un’idea di cosa c’è nel futuro del governo, si deve fare la tara come da istruzioni scandite a gran voce dai finiani. I quali per il 14 dicembre annunciano, per l’appunto, la sfiducia al governo.
Benedetto Della Vedova, per la verità, è andato anche oltre, chiedendo a nome di Fli «un nuovo governo in questa legislatura con pochi punti nel programma e con una maggioranza più ampia». E, circostanza non da poco, lo ha fatto nel corso della dichiarazione di voto, dopo che in giornata, ai microfoni di Radio Radicale, aveva bollato la riforma dell’università come «una delle ultime cose che questo governo farà». Certo, essendo segnalati ancora movimenti sotterranei tra i futuristi in vista del voto del 14 dicembre - c’è chi preferirebbe l’astensione invece della sfiducia - Fabio Granata ha dovuto richiamare all’ordine i suoi. Ma, se questa è l’aria che tira, non sorprende che anche ieri il governo sia andato sotto un paio di volte sulla riforma universitaria, nonostante il ritiro della riforma della giustizia, tornata negli stessi cassetti aperti e chiusi innumerevoli volte in questi anni.
Il primo ko del governo arriva in mattinata quando passa un emendamento di Fli relativo all’articolo 19 della riforma, quello sugli assegni di ricerca. Si tratta, provano a minimizzare nella maggioranza, di un fatto «tecnico» che non cambia nulla. Nel pomeriggio, però, il governo deve incassare il secondo voto contro. Questa volta si tratta di un voto triplo, per così dire, in quanto l’aula ha dato il via libera a tre emendamenti identici di Fli, Api e Pd che aboliscono la clausola di salvaguardia, ovvero il monitoraggio del Miur su eventuali scostamenti della spesa rispetto alle previsioni sui quali, poi, avrebbe dovuto riferire all’Economia. Insomma, una sorta di «commissariamento» dell’Istruzione, come è stato detto dalle opposizioni. Tra gli altri voti di giornata, quello sull’emendamento "antiparentopoli" sul quale Fli ha votato col governo, e sull’emendamento sulla assunzione dei professori associati, arrivato tra le proteste delle opposizioni che hanno parlato di «presa in giro», contestando la mancanza della copertura finanziaria.
Intanto, in strada andava in scena la protesta, e ne arrivava una eco fin dentro il Palazzo. E accaduto, ad esempio, quando il Pd ha chiesto a Roberto Maroni di riferire sugli incidenti dei quali si aveva notizia un po’ da tutta Italia e anche dalle strade intorno alla Camera. Anche Silvio Berlusconi si è fatto sentire. «Gli studenti veri - ha detto - sono a casa a studiare, quelli in giro a protestare sono dei centri sociali e sono fuori corso». E, però, non soltanto ha dovuto incassare il distinguo di Pier Ferdinando Casini - «Non è vero che gli studenti che protestano pacificamente sono tutti delinquenti come qualcuno li vuole liquidare» - ma, soprattutto, si è beccato il rilancio di Pier Luigi Bersani che ha annunciato che uno dei temi della manifestazione dell’11 dicembre sarà proprio l’università.
A quel punto, alla Camera è arrivato il momento del voto che è scivolato via senza sorprese. La battaglia, ormai, si era già spostata altrove. La maggioranza infatti vorrebbe accelerare i tempi al Senato e approvare il testo in via definitiva prima del 14. Anna Finocchiaro, capogruppo Pd a Palazzo Madama, ieri però ha minacciato che «in questo caso, salterebbe ogni accordo sui tempi per l’approvazione del ddl di stabilità». Deciderà la capigruppo del Senato convocata per domani mattina da Renato Schifani.
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