
20/10/10
Il Foglio
Nel giorno in cui Angelino Alfano incontra Gianfranco Fini a Montecitorio per parlare di giustizia, al Senato sono stati accettati tutti i rilievi finiani sul lodo Alfano; tanto che i finiani stessi, con l'Mpa, hanno permesso un primo voto favorevole in commissione. Si intravedono le condizioni per un negoziato più ampio tra i duellanti del centrodestra, ma la strada è lunga e accidentata. Fini sembra destinato a tergiversare intorno al sì definitivo sulla giustizia (e sullo scudo) almeno finché un diplomatico berlusconiano di rango, insignito di un preciso mandato da parte di Silvio Berlusconi, non accetti di parlamentare. Cosa chiede Fini? Un patto federativo.
Alfano, dopo aver mostrato una bozza di riforma della giustizia al Quirinale e al presidente del Senato, ieri è andato a Montecitorio più per incontrare il leader di Fli che il presidente della Camera. Ma si è trovato dì fronte un Gianfranco Fini nella sola veste di terza carica dello stato. Per questo, con cautela, negli ambienti del Pdi dicono che "non è andata male ma neanche bene". Fini ha ascoltato, ha annuito, ha sorriso, ma la sostanza è tutta in questo virgolettato: "Non si può giudicare compiutamente una bozza di linee guida". D'altra parte, al di là di alcune vecchie dichiarazioni che incastrano Fini sul "sì" al lodo Alfano, il leader di Fli non può garantire, almeno non gratuitamente, il proprio avallo preventivo allo scudo e alla riforma. È suo interesse rendere il lodo quanto più attraente per Berlusconi (ieri Fli e Mpa hanno votato a favore della retroattività della norma) allo scopo di costringere il Cav, a una trattativa che, partendo dalla giustizia, conduca a un patto politico.
Il ragionamento dell'entourage finiano, più che smentito pubblicamente ma altrettanto vero nei conciliaboli privati, suona così: il presidente della Camera ha una pistola carica soltanto finché la questione giustizia rimane aperta. Si chiudesse con un sì concesso senza contropartite, Fli non avrebbe più margini di manovra. Obiettivo: un patto federativo con il Pdl che garantisca la ricandidatura dei parlamentari finiani. Elezioni nel 2013, lista unica ma gruppi separati.
I colloqui tra Augello, Ghigo e Comincioli
"Il rapporto tra Pdl e Fli è in via di evoluzione e la verifica sarà in Parlamento", ha detto ieri il ministro Raffaele Fitto confermando così che una trattativa, per quanto episodica e disordinata, è nelle cose. Ci lavorano in tutta evidenza Alfano, Ghedini, lo stesso Fitto, così come Mariastella Gelmini appartiene alla corrente di pensiero irenista. Per la prima volta le spinte favorevoli a un accordo sono ministeriali, ma è forse più importante che si accompagnino a parallele manovre nei gruppi parlamentari. Ieri sera al ristorante romano la Capricciosa si è riunito a cena un gruppo di trenta senatori della cosiddetta "zona grigia" interna al Pdl, quelli che puntano a un accordo con Fini e che incrociano in parte l'area degli irrequieti (i senatori che potrebbero anche favorire un governo tecnico). Allo stesso tavolo si sono riuniti diplomatici d'esperienza come Andrea Augello, finiano rimasto con il Cavaliere, e pesi massimi del berlusconismo nordista come Enzo Ghigo e Romano Comincioli. Berlusconi e Fini non si vogliono parlare, ma l'istinto di sopravvivenza dei rispettivi gruppi potrebbe prevalere sull'umore dei capi.
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