
Solite reazioni. Concitazione nel Palazzo, rabbia, commenti strampalati. Il Gîornale pubblica ieri una notizia in prima pagina sotto questo titolo: «Un milione alla "suocera" di Fini». E succede un quarantotto. Perché, la notizia è falsa? No. Perché è vera. Evidentemente il mondo si è capovolto. O ci siamo capovolti noi. Avevamo sempre creduto che il nostro mestiere fosse raccontare la realtà. Ma secondo i nostri censori non è così. Non dobbiamo raccontare la realtà ma parlare del più e del meno in modo che i potenti stiano tranquilli e sereni.
Veniamo al caso specifico. Cosa c’è di strano nel dire che la «suocera» di Fini, cioè la mamma della compagna di questi, Elisabetta Tulliani, detiene la maggioranza di una società che ha ricevuto in appalto un pezzo di programma televisivo dalla Rai per la non tanto modica somma di un milione e mezzo di euro? Nulla. Di strano, o comunque meritevole di approfondimento, c’è solo un dettaglio: negli affari di famiglia Fini è entrato un contratto con il Servizio pubblico, nel quale sono note le influenze (talvolta determinanti) della politica.
Non abbiamo detto che questa storia nasconda qualcosa di irregolare. L’abbiamo segnalata perché a nostro avviso ha delle implicazioni a livello di costume. Chissà perché da anni si dice che la Rai (12.000 dipendenti) spende troppo, non valorizza le risorse interne, non privilegia i talenti ma i raccomandati, poi, di fronte alla mamma della signora Tulliani (convivente felice di Fini) che percepisce un milione e mezzo di euro, tutti zitti. E se noi apriamo bocca, veniamo aggrediti come avessimo fatto la pipì in chiesa.
Siamo basiti. Vigliacco se c’è qualcuno che si preoccupi della veridicità della notizia e magari fornisca alcune spiegazioni su come la «suocera» abbia ottenuto il contrattino in questione. Il presidente della Camera è fuori dai gangheri. Berlusconi nel timore che qualcuno lo accusi di complicità col Giornale (del fratello) si dissocia dall’articolo, prende le distanze; Ghedini prende pure le distanze, il presidente del Senato Schifani fa altrettanto.
Qualcuno minaccia la crisi di governo. E tutto questo non perché la mamma della Tulliani incassi tanti soldini dalla Rai, bensì perché noi abbiamo osato scoprire l’altarino e quindi leso sua maestà Fini. Il rimprovero mosso a noi è pretestuoso, ridicolo: non avete il diritto di mettere il naso nei fatto privati delle famiglie, invece l’avete ficcato in quelli di Fini.
Sciocchezze. Un contratto con la Rai non ha nulla di privato, è pubblico che più pubblico non si può dato che il canone è pagato dagli italiani e il disavanzo (immancabile) del bilancio, pure. Se l’appalto è avvenuto nel rispetto delle norme eccetera eccetera noi siamo contenti e immagino lo siano anche i nostri lettori.
Però consentiteci di verificare. O è un delitto? Se lo è diteci perché, senza appigliarvi alla inviolabilità del portafogli di famiglia. Di già che siamo in tema di privacy, desideriamo sottoporre al vostro giudizio quanto abbiamo letto martedì 27 aprile su la Repubblica, primapagina. Il pezzo, di spalla, è firmato nientepopodimeno che da Pietro Citati, una star della letteratura patria. Riporto integralmente un brano singolare: «Come tutti sanno, anni fa Umberto Bossi disse che la Lega CELHADURO. E allora (...) una sera per provare i suoi doni sessuali, Bossi andò con una ragazza in uno degli innumerevoli alberghi che decorano i paesotti e le cittadine della Pianura Padana. Per accrescere la propria forza, ingoiò non una ma due pasticche di viagra. Gli venne un colpo; e di notte, segretamente, venne portato in una clinica svizzera. Ora se lo vedi alla televisione, balbetta, biascica, sbrodola. Ma Calderoli sostiene che il colpo ha fatto diventare Bossi molto più intelligente di prima...».
Un capolavoro. Peccato che, oltre a contenere delle inesattezze, faccia strame della privacy di Bossi. Il quale potrebbe non essere lieto di far sapere in giro - ammesso certi particolari siano veri, e ne dubito - che faceva uso di viagra e aveva rapporti extraconiugali con ragazze condotte in decorativi alberghetti padani. Se le deliziose righe trascritte sopra fra virgolette le avessimo pubblicate noi, intanto io sarei processato dal garante, probabilmente dalla giustizia ordinaria, sicuramente radiato dall’Ordine dei giornalisti senza lo straccio di una difesa della corporazione cui faccio al momento parte. Invece le ha vergate Citati per la Repubblica e nessuno ha quindi fiatato. Perché? Non mi stupisce dunque che Fini vada in televisione, a Porta a Porta, e affermi impunemente che il nostro è giornalismo spazzatura, peggio, melma, fango, per non dire merda. E che per queste affermazioni offensive e diffamatorie riceva la solidarietà dell’intero ceto politico e, non escludo, della categoria degli scribi. Vabbè, il doppiopesismo è entrato fragorosamente nello stile del Palazzo e in quello dei giornali.
Mi tocca tediarvi ancora. Tra una settimana circa andrà in aula per l’approvazione la legge che disciplina le intercettazioni e la pubblicazione delle medesime. Ribadisco il mio trascurabile pensiero: non condivido che si preveda la galera per i giornalisti e multe milionarie per gli editori. La stampa è il terminale della filiera che concorre allo sputtanamento degli intercettati. Ma tutti potranno farla franca eccetto noi. Sarebbe stato più civile imporre ai magistrati di escludere dai fascicoli processuali le intercettazioni prive di rilevanza penale e riguardanti persone estranee all’inchiesta, e di distruggerle impedendo materialmente di divulgarle. Si capisce che non volendo toccare i magistrati neanche di striscio, si sia preferito massacrare i cronisti e gli editori.
Mi auguro ci sia ancora il tempo per correggere un testo che grida vendetta e mortifica l’informazione.
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