
27/04/10
la Repubblica
«Sono qui per ascoltarvi, sapere cosane pensate». Gianfranco Fini chiama a raccolta i suoi parlamentari dopo l’exploit in direzione e detta alla truppa di pidiellini rimasti al suo fianco la nuova strategia. Niente strappi, mai forzare la mano nelle commissioni e in aula, «nessuna imboscata», sono le parole d’ordine
che la quarantina tra deputati, senatorie europarlamentarisente ripetere più volte al presidente della Camera, durante le oltre tre ore di riunione in sala Tatarella a Montecitorio.
Fini li rassicura: «Vedrete, non si andrà ad elezioni. Non solo perché sarebbe da irresponsabili, col caso Grecia alle porte, ma anche perché la nostra Costituzione parla chiaro sullo scioglimento delle Camere». Sottinteso, l’ultima parola spetta al presidente della Repubblica, non ad altri. Tregua armata, insomma, con Silvio Berlusconi, il quale non nomina mai l’avversario interno, ma quando a Milano, nella conferenza stampa al fianco di Vladimir Putin, gli chiedono quale sia il segreto dei matrimoni longevi in politica, non rinuncia alla stoccata. «Non ho un’esperienza particolarmente felice con i matrimoni longevi - scherza mettendo le mani avanti - Comunque, ho già detto di non aver litigato con nessuno: per litigare bisogna essere in due, anche se per divorziare basta uno soltanto».
Qualche ora dopo, al serrate le fila convocato da Gianfranco Fini non sono presenti tutti i 39 deputati e 14 senatori che una settimana fa avevano firmato il documento di solidarietà. Sono una quarantina. C’è il ministro Ronchi. Impegni fuori Roma per altri come il viceministro Adolfo Urso, defezione vera e propria per Amedeo Laboccetta. L’exfedelissimo, dopo un’ora di faccia a faccia nello studio del presidente, esce e spiega: «Fini vuole una componente organizzata, gli ho detto che non ci sto». Critico anche il sottosegretario all’Ambiente Roberto Menia, che alla fine però partecipa alla riunione: «Dove si va a sbattere? Qual è la strategia di una non definita area di minoranza? Ne valeva la pena?»
La strategia invece c’è, spiega la terza carica dello Stato ai suoi. «Sia chiaro: non voglio un Pdl nel Pdl e non è in discussione la permanenza nel partito, dobbiamo garantire la massima lealtà alla maggioranza, mostriamo agli elettori totale fedeltà al programma». Anche sulle intercettazioni, che stanno tanto a cuore al premier, la linea sarà «costruttiva». Sarebbe un errore, chiosa Giulia Bongiorno, usare in chiave strumentale i provvedimenti sulla giustizia. Nel mirino di Fini resta la Lega: «Dobbiamo essere competitivi sui suoi stessi temi. Il federalismo si farà se ci sarà chiarezza sui tempi e sui costi, senza mettere a rischio l’ unità del Paese». E ancora, chi andrà in tv dovrà evitare lo scontro. A parlare ci penserà lui, in questa «fase due» della presidenza. «Andrò in tv a spiegare le nostre idee, il nostro progetto di Pdl» dice l’ex leader di An che, dopo l’intervista di stasera a Ballarò, non esclude un passaggio a Porta a Porta. L’invito dei vari Moffa,Augello, Viespoli in riunione è a non ridursi a corrente, ma a essere «motore propositivo», da qui l’idea (poi accantonata) di un seminario. Altri, in testa Bocchino (che oggi depositerà
la lettera di dimissioni), sono per la corrente. «Più che corrente, saremo un network: Secolo, FareFuturo, Generazione Italia, promuoveremo alla luce del sole il progetto di Fini» spiega Briguglio.
Qualcosa di strutturato c’è e come. Alla Camera e al Senato, i finiani avranno ciascuno un coordinatore, spiega lo stesso leader. Non li chiama «capigruppo ombra», ma quello è il senso. E piacerà poco ai berluscones.
che la quarantina tra deputati, senatorie europarlamentarisente ripetere più volte al presidente della Camera, durante le oltre tre ore di riunione in sala Tatarella a Montecitorio.
Fini li rassicura: «Vedrete, non si andrà ad elezioni. Non solo perché sarebbe da irresponsabili, col caso Grecia alle porte, ma anche perché la nostra Costituzione parla chiaro sullo scioglimento delle Camere». Sottinteso, l’ultima parola spetta al presidente della Repubblica, non ad altri. Tregua armata, insomma, con Silvio Berlusconi, il quale non nomina mai l’avversario interno, ma quando a Milano, nella conferenza stampa al fianco di Vladimir Putin, gli chiedono quale sia il segreto dei matrimoni longevi in politica, non rinuncia alla stoccata. «Non ho un’esperienza particolarmente felice con i matrimoni longevi - scherza mettendo le mani avanti - Comunque, ho già detto di non aver litigato con nessuno: per litigare bisogna essere in due, anche se per divorziare basta uno soltanto».
Qualche ora dopo, al serrate le fila convocato da Gianfranco Fini non sono presenti tutti i 39 deputati e 14 senatori che una settimana fa avevano firmato il documento di solidarietà. Sono una quarantina. C’è il ministro Ronchi. Impegni fuori Roma per altri come il viceministro Adolfo Urso, defezione vera e propria per Amedeo Laboccetta. L’exfedelissimo, dopo un’ora di faccia a faccia nello studio del presidente, esce e spiega: «Fini vuole una componente organizzata, gli ho detto che non ci sto». Critico anche il sottosegretario all’Ambiente Roberto Menia, che alla fine però partecipa alla riunione: «Dove si va a sbattere? Qual è la strategia di una non definita area di minoranza? Ne valeva la pena?»
La strategia invece c’è, spiega la terza carica dello Stato ai suoi. «Sia chiaro: non voglio un Pdl nel Pdl e non è in discussione la permanenza nel partito, dobbiamo garantire la massima lealtà alla maggioranza, mostriamo agli elettori totale fedeltà al programma». Anche sulle intercettazioni, che stanno tanto a cuore al premier, la linea sarà «costruttiva». Sarebbe un errore, chiosa Giulia Bongiorno, usare in chiave strumentale i provvedimenti sulla giustizia. Nel mirino di Fini resta la Lega: «Dobbiamo essere competitivi sui suoi stessi temi. Il federalismo si farà se ci sarà chiarezza sui tempi e sui costi, senza mettere a rischio l’ unità del Paese». E ancora, chi andrà in tv dovrà evitare lo scontro. A parlare ci penserà lui, in questa «fase due» della presidenza. «Andrò in tv a spiegare le nostre idee, il nostro progetto di Pdl» dice l’ex leader di An che, dopo l’intervista di stasera a Ballarò, non esclude un passaggio a Porta a Porta. L’invito dei vari Moffa,Augello, Viespoli in riunione è a non ridursi a corrente, ma a essere «motore propositivo», da qui l’idea (poi accantonata) di un seminario. Altri, in testa Bocchino (che oggi depositerà
la lettera di dimissioni), sono per la corrente. «Più che corrente, saremo un network: Secolo, FareFuturo, Generazione Italia, promuoveremo alla luce del sole il progetto di Fini» spiega Briguglio.
Qualcosa di strutturato c’è e come. Alla Camera e al Senato, i finiani avranno ciascuno un coordinatore, spiega lo stesso leader. Non li chiama «capigruppo ombra», ma quello è il senso. E piacerà poco ai berluscones.
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