Articolo di Tommaso Gomez pubblicato su È vita (Avvenire), il 23/12/10
Una mamma, nessun babbo. Se ne faranno una ragione, i tanti bimbi nati nel 2010 alla Mangiagalli di Milano. Ben 23 donne su cento non dichiarano il padre. Sono sole. In tre anni, il loro numero è triplicato. La Repubblica, nel servizio di Laura Asnaghi, non nasconde la propria soddisfazione e va sul sicuro: «Nell’identikit delle madri single tracciato dall’ospedale, si legge che hanno 35 anni, sono nel 72 per cento italiane, con un buon livello d’istruzione (il 53 per cento ha la laurea). Sono, in larga parte, donne che hanno fatto carriera e quando sentono che l’orologio biologico avanza inesorabilmente, decidono di fare un figlio, senza per forza essere sposate o convivere». Interpella la scrittrice e docente universitaria Eva Cantarella: «La mia è una reazione molto positiva. Questa è l’esaltazione dell’indipendenza femminile, della donna che decide di avere un figlio senza avere per forza dei legami familiari. L’uomo è lo strumento per arrivare alla maternità. Una donna può avere anche una relazione di una sola notte per raggiungere il suo obiettivo». Verissimo; però chiamarla "relazione" forse è azzardato. Meglio "rapporto", non le pare, Cantarella?
Ma le cose stanno davvero così? La Stampa (servizio di Elena Lisa) interpella Basilio Tiso, direttore sanitario della Mangiagalli, che della donna single partoriente traccia un identikit meno ideologico e più sfaccettato: «È una realtà che ha molti significati. Sulle oltre 6 mila nascite all’anno sono circa 1.300 le neo-mamme che dichiarano di non avere nessuno. Tra loro ci sono quelle sole. Altre, le straniere, non possono fare altrimenti: hanno lasciato una famiglia nei Paesi d’origine e, qui, s’innamorano di uomini che scompaiono con la gravidanza. Poi c’è chi dice di non avere un partner per convenienza: come single è più facile entrare nelle liste d’attesa di un asilo nido. E quelle che ci ripensano: i genitori per riconoscere un figlio hanno tempo dieci giorni dalla nascita». E le donne omosessuali inseminate all’estero...
Sul fronte eutanasia, offensiva radicale del solstizio. Dopo lo spot televisivo su RaiTre, ecco quello radiofonico in uno spazio autogestito su RadioUno. E dal Friuli giunge la notizia di un altro appello - di Annibale Fasan, ammalato di distrofia muscolare - a Napolitano per una "buona morte", simile a quello di Welby, e dell’appoggio da parte di Cinzia Cori, infermiera che accompagnò (si fa per dire) Eluana nelle sue ultime ore, e anche moglie dell’anestesista De Monte. Luana De Francisco (Messaggero di Udine, 21 dicembre) non cela il suo entusiasmo: «Appresa la triste storia di Fasan e ben conoscendo gli ostacoli che un disabile incontra nel vedere riconosciuti i propri diritti, Cinzia Cori ha preso carta e penna e gli ha scritto. Lanciando in tal modo un segnale di coraggio e solidarietà a colui che, con lucida rassegnazione, aveva a sua volta inviato una lettera al capo dello Stato...». Mentre Umberto Veronesi scrive una lettera di sostegno ai radicali (Gazzetta del Sud, 21 dicembre), l’Osservatore Romano riporta il "no" dei vescovi svizzeri all’eutanasia, e il loro sostegno alle cure palliative. Che i radicali relegano in un angolino buio...
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