
Fossimo come il vecchio pensionato romano, a cui la giornalista Rai porge il solito microfono-gelato per sapere se e quando andrà in vacanza, risponderemo anche noi: «Ma io sono in vacanza. Sono pensionato, vivo nella più bella città del mondo, più vacanza di questa?». Ci ispiriamo invece al più saggio e infaticabile dei coetanei, Giorgio Napolitano, che si accomiata in lacrime da Loris D’Ambrosio – anche il giudice Antonio Ingroia scopre che da tremila anni la scienza teorizza e i governi praticano la salus rei publicae anche come “ragion di Stato” –, e telefona all’arciere Mauro Nespoli che gli dedica la medaglia olimpionica: «Essa è idealmente rivolta all’intero paese, per le prove che sta affrontando». Non c’è un minuto vuoto nel vecchio e mai pensionato presidente. E non ce ne sarà per «l’intero paese» – quello dei galantuomini che faticano, rispettano le leggi e adempiono ai doveri – nelle settimane di ferragosto, solitamente consacrate all’ozio e alle immagini belle della vita. Perché, come dice Dario Di Vico, i compiti a casa non sono finiti. E solo il paese degli assenteisti (purtroppo c’è anche quello) può pensare che sia tornato il tempo della ricreazione, perché le borse sono state su due giorni e la politica è tornata all’abituale follia.
Già oggi e domani milioni di incolonnati celebreranno l’ultimo rito delle vacanze. Speriamo non si occupino solo di Olimpiadi bagni e barbecue, per non restare di sasso se al ritorno troveranno elezioni a novembre e a dover navigare senza una vera e propria «tempesta perfetta» (non prevista dagli economisti) ma col mare ribollente. L’incontro Alfano-Bersani-Casini, se confermato, ci darà già oggi orientamenti quasi definitivi sulla legge elettorale, che la destra manipola giocando col fuoco.
Se Berlusconi vuole il Porcellum per ridarci l’alleanza con la Lega, Bersani Casini e Vendola dovrebbero lasciare che ci si scotti. Le elezioni a novembre, discutibili da ogni punto di vista, avrebbero almeno un effetto positivo sul costume del paese: dopo settant’anni abbatterebbero il tabù imposto dai partiti “di massa” (Dc in testa) che non si potesse votare in autunno, essendo impegnati i contadini a raccogliere gli ultimi prodotti dell’annata e seminare per quelli nuovi. Nel frattempo siamo diventati il secondo paese industriale d’Europa, la sesta o settima “potenza” dell’Occidente, poi siamo diventati anche postindustriali – economia di servizi e di valori immateriali –. Ma le elezioni a ottobre-novembre restano tabù.
La nostra “cultura elettorale” non è mai cambiata, anche nel passaggio di tre o quattro generazioni. Mentre dai coltivatori diretti e dalle catene di montaggio si passava ai ceti medi dei servizi, dei diplomi, delle lauree e delle tecnologie avanzate, gli italiani conservavano l’incubo dell’ombrello e dell’astensione. Stavolta può accadere che saremo chiamati di novembre a giudicare il lavoro dei due super Mario. Giudicare se Monti ha cominciato a smantellare gli arcaismi del sistema Italia: monopoli e sprechi che un tempo accogliemmo come sviluppo e stato sociale; a conciliare industrie e salute (Pomigliano, Taranto), infrastrutture e legalità (Tav, autostrade, edilizia), dinamicità del mercato e basi certe per le famiglie. Se Draghi avrà rimosso le titubanze di una Federal Reserve sovrimpegnata; e le durezze di una Bundesbank che, in proprio e sotto la spada di Damocle della corte costituzionale di Karlsruhe, vede dappertutto zanzare che succhierebbero sangue ai tedeschi. Cosa che fa disperare non solo gli amici europei della Germania, ma anche molti fra i suoi migliori intellettuali e cittadini. Che ricordano come anche la “dotta Germania” ogni tanto si mefistofelizza.
Giudicheremo anche, il giorno delle elezioni, il volto nuovo che la competizione politica avrà assunto in Italia proprio in queste settimane d’agosto: a destra con le ambizioni di leaders travolti dal malcostume ma impuniti, il loro malgoverno, le loro alleanze fatte di illegalità concrete e di secessionismi fantasiosi; al centro dove sono in corso manovre per riassorbire il nuovo rappresentato dal montismo in una sua istituzionalizzazione, “cattolica”, “liberista”, “borghese”: ad opera di ceti e mafie che hanno sempre prodotto formigoni e alemanni, padroni delle ferriere protezionisti, clericali a spese della moralità e della legalità (vedi da ultimo le norme edilizie ad parrocchiam della regione Lazio e l’assunzione dell’amico di De Pedis a consulente del sindaco di Roma. Una specie di trimurti fascisti-gerarchia-malavita).
Chiamano “lista per Monti” il todismo, ossia il partito del cardinale, ma rischierebbe di diventare lista di proscrizione ideologica, con violenti contraccolpi sulle aree emarginate, che solo una politica democratica di tolleranza e di apertura ai nuovi diritti etici (non è vero, presidente Bonino?), con una coalizione Pd-Udc- Sel, potrebbe conciliare con la società. Senza sbracature e senza isterie islamiste. Nella zona grigia crescerebbe il numero dei grilli canterini, che non dicono nulla ma lo dicono rumorosamente: vecchia preferenza di non pochi milioni d’italiani d’ogni età e d’ogni regime.
Al ritorno dalle vacanze, un quadro simile metterebbe in imbarazzo anche i più volenterosi elettori di novembre: che, senza schieramenti programmi e classi dirigenti alternativi, sarebbero per la prima volta in difficoltà a votare. Come lo sono oggi, a giudicare dall’area del non voto nei sondaggi.
L’Italia tornerebbe allora anche agli incubi contadini della pioggia, basterebbe una giornata e mezza di cattivo tempo (la mezza è per i vacanzieri del week end, in tutta Europa si vota dalle 8 alle 8 dello stesso giorno) per riassoggettarci alla meteorologia del paese rurale. Che gli spaghetti li compra in Cina e le insalate in Marocco.
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