
Ma possiamo assumere il paradigma della ragione greco-ellenistica, di quella filosofia, con un qualcosa di assoluto, di non-storico? Penso alle ricerche di Claude Lévi-Strauss a partire dallo studio delle strutture sociali e della parentela degli indiani Nambikwara, Per Lévi Strauss non esiste un pensiero "selvaggio", mitico e irrazionale, distinto e lontano dal pensiero "colto" dell’occidente. Ogni pensiero, o meglio ogni sistema culturale, nella diversità e singolarità del suo linguaggio, non è che la manifestazione di un sistema di strutture inconsce identiche per ogni uomo. Ogni cultura esprime questa struttura profonda attraverso sue specifiche categorie, forme, sistemi logici, relativi ciascuno al suo tempo. Oggi, grazie alla globalizzazione, il pensiero razionale degli uomini tende a divenire, sempre più, un "pensiero unico", recuperando magari proprio quel sistema di strutture profonde di cui parla Lévi Strauss. C’è anzi da scommettere che il numero di questi uomini, raziocinanti in forme sempre più ravvicinate quando non identiche tra loro, sia destinato a crescere. Costoro si intenderanno perfettamente quando discuteranno di matematica, di fisica, di tecnologie varie. Potranno farlo in nome della loro identità profonda, strutturale nel senso indicatoci da Lévi-Strauss, senza dover passare per la mediazione né della filosofia grecoellenistica né della fede? Chi può escluderlo? Colui che pensa di dover continuamente confrontare la ragione con la fede (cristiana, per intenderci) non avrà così nulla per cui differenziarsi dal suo interlocutore, non potrà mai pretendere di essere in qualche modo meglio posizionato per elaborare pensiero e logica. E allora su che cosa il cristianesimo può fondare la sua speranza, la sua esigenza di espansione, la sua vocazione missionaria? La laicizzazione, sia pure nelle forme indicateci da Lévi-Strass, sembra poter pretendere al dominio assoluto sul mondo. E qui potrebbe tornare d’attualità, almeno come speranza del credente, il pensiero di Barth, quando ci avverte che il cristianesimo (quello della croce di Cristo) deve essere irriducibile alla modernità. Ma a questo punto interviene lo storico, il critico, l’esegeta biblicotestamentario, il quale ci assicura che la figura del Cristo morto sulla croce e risorto non ha fondamento storico ma è creazione, mitopoiesi del kérigma della comunità cristiana primitiva. Un bel pasticcio, insomma, che vorremmo volentieri lasciare agli esperti (anche se gli esperti sono anche essi inadeguati a parlare della fede di cui ci parla Karl Barth
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