
La lotta alla contraffazione a tutto campo. Anche per quanto riguarda la pirateria informatica. Da sempre Gianni Fava, presidente della Commissione Bicamerale Anticontraffazione ne ha fatto un cavallo di battaglia, suo e di tutta la Lega Nord. Non, come affermano trasversalmente diversi parlamentari che sostengono il governo Monti «per violare la libertà», bensì per proteggere le aziende ed i lavoratori di questo settore. E in tale chiave, Fava ieri ha incontrato a Washington il padre del Sopa, Lamar Smith, deputato del Texas primo firmatario della proposta di legge antipirateria online, «affossata» dopo la rivolta del Web. A ricevere la delegazione della commissione parlamentare d'inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale erano presenti anche altri parlamentari statunitensi, attivissimi sul fronte della lotta al violazione del copyright online.
Fava ha ribadito che «la pirateria online produce 200 miliardi di dollari di danni all'economia mondiale. L'Italia è tra i Paesi con il più alto tasso di download illegale. Bisogna fare qualcosa. Qui negli Usa mi hanno chiaramente detto che se non regoliamo il settore, i dazi commerciali rimarranno altissimi». A tal proposito il deputato leghista la settimana scorsa aveva presentato un emendamento che ha scatenato ieri una reazione trasversale. Perché? «La cosa mi stupisce molto; questo cambio di linea proprio non riesco a capirlo, dal momento che lunedì scorso il mio testo era passato in commissione all'unanimità e col parere favorevole del Governo. Voglio precisare che il cosiddetto emendamento Fava in nessun modo impone la disconnessione del provider, ma soltanto lo obbliga a tener conto delle segnalazioni che riceve, assumendosene la responsabilità se decide, in piena autonomia, di non tenerne conto, esattamente come prevede espressamente una direttiva europea».
Continua Fava: «se il provider, una volta informato, non fa niente, allora il titolare dei diritti violati può agire in giudizio anche contro di lui, oltre che contro l'autore materiale della violazione. Perciò è sempre un giudice che deve decidere chi ha ragione e chi ha torto: e i provvedimenti che può dare sono solo l'inibitoria, cioè l'ordine di far cessare l'illecito e di prevenirne la ripetizione, e il risarcimento del danno. Mai, in nessun caso, può essere ordinata la disconnessione del provider. Dunque questa è una norma esemplare perché fa l'opposto di quello che molti detrattori interessati e non liberi dicono: la norma cerca infatti di delineare un punto di equilibrio tra le esigenze di proteggere i diritti e quella di lasciare alla rete la massima libertà, che non è minimamente in discussione: è una norma molto più liberale di quelle inglesi e francesi già in vigore e non ha niente a che vedere con quella americana recentemente bocciata».
Che Fava abbia toccato un nervo scoperto lo si è capito ieri nel corso di una conferenza stampa convocata da Beppe Giulietti (Pd), Flavia Perina (Fli), Benedetto Della Vedova (Fli), Marco Beltrandi (Radicali), Roberto Rao (Udc), Paolo Gentiloni (Pd), Stefano Dedica (Idv), Gianni Vernetti (Api) e Antonio Palmieri del Pdl. Tutti insieme appassionatamente uniti nella contestazione alla nuova norma, ma ciascuno diversamente orientato sulla necessità di regolare il nodo copyright online.
Sul tema è bene ricordare qualche dato. In Italia l'uso del software illegale è al 49%, il 10% di riduzione della pirateria porterebbe in 4 anni quasi 4 miliardi di euro in termini di ulteriore volume d'affari per l'intero settore. Praticamente una piccola finanziaria. L'impatto economico e finanziario dell'uso dei software illegali è ancora più evidente nel paesi dell'area Bric (Brasile, Russia, India e Cina ), quelli considerati a maggiore tasso di crescita. Un dato per tutti: le sole aziende manifatturiere che in questi paesi scelgono software piratati sottraggono oltre 1.5 miliardi di dollari ai propri competitor interni che acquistano prodotti originali.
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