
Non si va in vacanza se non si vota sulla richiesta d'arresto del senatore Cosentino. Così ieri si è pronunciato l'implacabile Di Pietro, evidentemente non appagato dall'assenso fornito ieri dall'aula della Camera all'utilizzazione delle intercettazioni telefoniche a danno di un altro parlamentare indagato per vicende relative alla criminalità mafiosa, l'ex ministro Saverio Romano.
Difficile non vedere nella frenetica attività dell'ex eroe di "mani pulite" un furore giustizialista volto a far dimenticare le sue responsabilità nell'aver dato accesso in Parlamento a un personale politico magari incensurato ma assolutamente inadeguato e incapace di resistere alle peggiori lusinghe del potere. Chi ha portato in Parlamento gli Scilipoti e i Misiti non può dare lezioni sulla selezione della classe dirigente. Questo però non vuol dire che un dibattito serio non debba svolgersi, non tanto sulle responsabilità penali, che competono ai giudici che Cosentino stanno processando, quanto su quelle politiche di chi ha affidato la responsabilità di condurre l'allora principale partito di governo, in una regione come la Campania, a chi, come Cosentino, ha costruito il suo consenso in comuni notoriamente afflitti da una presenza camorristica contro la quale certo non aveva mostrato antagonismo, come minimo.
Un dibattito del genere potrebbe essere utile non foss'altro perché finirebbe per marginalizzare giustizialisti tanto al chilo e garantisti pelosi.
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