
L'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (che fu approvato quando di mondializzazione non se ne parlava nemmeno, internet non esisteva e i computer erano solo a Cape Canaveral) prevede l'impossibilità dei licenziamenti per motivi economici. In sostanza, esso ingiunge che il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, una volta stabilitosi, è indissolubile. Un matrimonio (anche se con figli) può interrompersi senza ostacoli, con il divorzio. Il rapporto di lavoro invece no.
Tuttavia questo vero e proprio sarcofago in difesa degli assunti, e a danno delle imprese che hanno a che fare con mercati che cambiano di continuo, in effetti sta difendendo solo una minoranza fra i lavoratori privati. Non hanno questa tutela, infatti, i lavoratori dipendenti che lavorano in piccole aziende che hanno fino a un massimo di 15 dipendenti. Anche se ciò avviene, bisogna pur dirlo, nella totale indifferenza dei sindacati confederali che, su questa anomalia, non hanno mai fatto, né sono disposti a fare, le barricate.
Siccome in Italia le piccole imprese sono il cuore del tessuto produttivo, ciò vuol dire che la maggioranza dei dipendenti privati non è tutelata dall'art. 18. Se a questa categoria si aggiungono inoltre le innumerevoli forme lavorative a tempo determinato o le partite Iva, o i Co.co.co., si scopre che la stragrande maggioranza dei dipendenti privati italiani non gode delle ipertutele dell'art. 18. Ciò comporta una prima e aberrante conseguenza. E cioè che la battaglia dei sindacati per il mantenimento dell'art. 18 è, in buona sostanza, a favore di un stretta minoranza di occupati.
Per evitare che il limite dei 15 dipendenti possa costringere al nanismo le imprese (gli imprenditori di questo tipo dicono: non assumo più di 15 dipendenti perché altrimenti vengo ingessato) il presidente della Camera di commercio di Piacenza, Giuseppe Parenti aveva lanciato dalle pagine di ItaliaOggi un'idea pragmatica (e il Partito radicale, vedutane l'innovatività, l'aveva trasformata in un suo disegno di legge): aumentiamo da 15 a 30 la soglia di applicabilità dell'art. 18 per un periodo transitorio di tre anni. Poi faremo seriamente un bilancio, basato sulle cifre, non sulle supposizioni. Se tale misura avrà fatto aumentare l'occupazione in queste imprese, la norma diventerà definitiva. In caso contrario essa verrà cassata. Ma la Cgil ha arruffato il pelo anche su questa proposta e ha detto che anche questa sperimentazione basata sui fatti e non sulle credenze non poteva essere né autorizzata, né fatta. Perché? Perché no.
© 2011 Italia Oggi. Tutti i diritti riservati