
08/04/11
Corriere della Sera
Il 13 gennaio 2010 il governo proclamò lo «stato d'emergenza» nelle carceri italiane, come di fronte a una catastrofe naturale. Furono stanziati fondi per ricavare nuovi spazi dietro le sbarre, obiettivo altri 21.749 posti. I detenuti a quella data erano 64.990, per una capienza ferma a 44.066: un'eccedenza di oltre ventimila galeotti, da assorbire attraverso un piano per 47 nuovi padiglioni penitenziari.
Oggi, un anno e quattro mesi dopo, i detenuti sono 67.648 (dato rilevato al 4 aprile dall'associazione A buon diritto), cioè 2.658 in più rispetto al numero per cui la situazione fu accostata a una calamità. E i posti in più? Pochi, pochissimi. C'è chi dice duemila, con un'approssimazione probabilmente per eccesso, ma sarebbe comunque una cifra inferiore all'incremento degli «ospiti». Dunque la realtà è peggiorata. Ma non solo per la crescita dei detenuti. Parte delle nuove prigioni che si è riusciti a costruire sono vuote perché mancano i soldi per metterle in funzione. E soprattutto manca il personale della polizia penitenziaria. Sempre nel gennaio 2010 il ministro della Giustizia Alfano dichiarò che a breve sarebbero entrati in servizio altri duemila agenti. A luglio ribadì la promessa, abbassando i reclutamenti «in prima battuta» a mille. Sono passati altri nove mesi, e ancora si attende l'ingresso delle nuove guardie carcerarie. Quando arriveranno, paventa qualcuno, saranno meno di quelle che nel frattempo hanno lasciato il servizio per raggiunta pensione o altri motivi.
Sono i numeri di una crisi che l'annunciato impegno del governo non è riuscito a scalfire. Di cui la politica generalmente si disinteressa - a parte il costante impegno dei radicali e pochi altri esponenti sparsi nei diversi partiti -, ma che continua a lasciare i detenuti italiani in condizioni di vivibilità al limite della sopportazione. E a produrre morti. Carlo Saturno è la quarantesima vittima del 2011; per adesso siamo nella media, nel 2010 i decessi furono 172. Divisi in tre grandi categorie: suicidi, cause naturali o da accertare. All'inizio anche la morte di Stefano Cucchi, il tossicodipendente spirato nel reparto carcerario di un ospedale romano a sei giorni dall'arresto, fu classificata come «naturale», poi s'è capito che forse le cose andarono diversamente e oggi c'è un processo a carico di una dozzina d'imputati. Ufficialmente, tra perizie e controperizie, le vere cause sono passate fra quelle «da accertare».
Le prime verifiche sul caso del giovane Saturno non fanno dubitare del suicidio, ma dietro c'è ancora una sto- ria da chiarire. Non solo quella del processo a carico di alcuni agenti del carcere minorile in cui fu rinchiuso in passato, accusati di presunte violenze. «L'esperienza ci porta a dire che le carceri sono sovraffollate di molti soggetti che versano in uno stato di tensione personale regolarmente accentuato ed esasperato dalla situazione - spiega Luigi Manconi, presidente di A buon diritto -. E in queste situazioni il confine fra pressioni, mancata tutela e induzioni a gesti estremi diventa labilissimo».
Servirebbero vari tipi d'intervento, non solo nuovi spazi nelle celle. I tagli economici, che colpiscono il pianeta carceri come gli altri settori della pubblica amministrazione, hanno riguardato anche l'assistenza; per dirne una, non ci sono soldi per gli psicologi, e la media tra quelli in servizio e i reclusi fa sì che mediamente ogni detenuto possa usufruire di un sostegno per due minuti ogni mese. Qualcosa, in questo «stato d'emergenza» potrebbero fare i Garanti dei diritti della persone private della libertà. Figura che in Puglia, dov'è morto Saturno, esiste sulla carta ma manca nella realtà; per nominarlo serve una maggioranza di tre quarti del consiglio regionale, e non si trova l'accordo sul nome.
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