
Nell'agenda dell'incontro tra Barack Obama e Hu Jintao c'erano l'economia, il clima, il disarmo nucleare. Il primo tema è il più urgente, gli altri due i più importanti nel lungo periodo.
Se non riusciremo a creare le condizioni per una ripresa economica globale sana, le speranze di un rapporto cooperativo probabilmente si riveleranno vane. Ma una ripresa del genere è tutt'altro che garantita. Non solo: parte di quello che avviene oggi adesso, in particolare la decisione di Pechino di svalutare il renminbi rispetto al dollaro, riduce la probabilità di una ripresa solida.
Questa,dunque, per Obama era l'occasione per raccontare qualche scomoda verità. Spero che lo abbia fatto, dopo briefing approfonditi da parte del suo staff, in questi termini.
«Signor presidente, come ho detto in Giappone, "gli Stati Uniti non cercano di contenere la Cina e un rapporto più profondo con la Cina non comporta un indebolimento delle nostre alleanze bilaterali. Al contrario, l'ascesa di una Cina forte e ricca può essere un motivo di forza per la comunità delle nazioni". Nel prossimo futuro i nostri due paesi saranno i protagonisti della scena mondiale. Dobbiamo affrontare le sfide che abbiamo di fronte in uno spirito di cooperazione e compromesso. Ma non è questo quello che sta succedendo, purtroppo, per quanto concerne le vostre politiche valutarie».
«Le autorità cinesi hanno espresso timori comprensibili riguardo alle politiche monetarie e di bilancio degli Stati Uniti. Recentemente, Liu Mingkang, la maggiore autorità di regolamentazione del settore bancario nel vostro paese, ha affermato che l'azione combinata di un dollaro debole e tassid'interesse bassi ha incoraggiato un "enorme carry trade", che sta avendo un "impatto colossale sui prezzi delle attività a livello globale". Sulla stessa falsariga, molti funzionari cinesi si lamentano dell'entità del nostro deficit di bilancio e sono preoccupati per la sicurezza degli investimenti cinesi in titoli di stato americani».
«Io condivido queste preoccupazioni. Ma la politica di spesa e la politica monetaria che stiamo applicando in questo momento hanno una ragione molto concreta: un anno fa eravamo di fronte al baratro. Ancora adesso, la nostra ripresa è troppo debole per ridurre una disoccupazione che è giunta a livelli intollerabili. Di fronte a questi rischi, la Federal Reserve e la mia amministrazione hanno agito per sostenere la domanda. Semmai, aveva ragione chi sosteneva che il nostro pacchetto di misure di stimolo si sarebbe rivelato troppo limitato».
«Ci siamo trovati di fronte a una recessione gravissima per una ragione semplice: la crisi finanziaria che abbiamo ereditato ha scatenato un tracollo della spesa privata negli Usa, e una brusca impennata del risparmio privato. I miei consulenti mi hanno detto che fra il quarto trimestre del 2007 e il secondo trimestre del 2009, l'equilibrio tra reddito privato e spesa privata negli Usa è passato da un deficit del 2,1% del prodotto interno lordo a un surplus del 6,2%, un'oscillazione in direzione di una maggiore frugalità nell'ordine dell'8,3% del Pil. Il tracollo delle nostre finanze pubbliche non è nient'altro che un riflesso di questo cambiamento nell'equilibrio tra reddito privato e spesa privata. Anche le politiche monetarie espansive della Fed sono una risposta inevitabile al tracollo».
«Io sono presidente degli Stati Uniti. Non lascerò che la nostra economia precipiti nella depressione per proteggere il valore dei risparmi cinesi. Dopo tutto, nessuno negli Stati Uniti vi ha chiesto di intervenire tanto cospicuamente sui mercati valutari e di accumulare l'incredibile quantità di 2.275 miliardi di dollari in riserve estere – gran parte delle quali nella nostra valuta – al settembre di quest'anno».
«La politica che la Cina apparentemente ci raccomanda non funzionerebbe nemmeno. Supponiamo che la Fed interrompa le sue politiche di espansione quantitativa e alzi i tassi di interesse per rafforzare il dollaro, mentre noi facciamo un grosso sforzo per rimettere in sesto i conti pubblici:l'economia tornerebbe in recessione. Perciò, i disavanzi di bilancio sicuramente peggioreranno ancora».
«Come ha appena evidenziato il direttore generale del Fondo monetario internazionale, Dominique StraussKahn, qui a Pechino, "in definitiva, un incremento della domanda interna in Cina, accompagnato da un incremento del risparmio negli Usa, contribuirà a riequilibrare la domanda mondiale e a garantire a tutti noi un'economia globale più sana". Io riconosco che la Cina ha giocato un ruolo preziosissimo, stimolando la domanda interna e agevolando, grazie a questo, i necessari aggiustamenti globali. L'Fmi, a quanto sembra, prevede un forte calo del surplus delle partite correnti in Cina quest'anno. Sfortunatamente, questo calo potrebbe rivelarsi temporaneo: come prima cosa, il vostro programma di stimolo, facendo affidamento su una fortissima espansione del credito, potrebbe rivelarsi insostenibile; come seconda cosa, il calo del surplus commerciale cinese è dovuto in gran parte al crollo degli scambi mondiali provocato dalla crisi; e come terza cosa, la più importante, la Cina ha avviato una svalutazione del renminbi, agganciandolo a un dollaro che sta perdendo valore».
«In una fase in cui la domanda globale è tanto debole, la vostra è una politica che tende a scaricare sugli altri paesi il costo della crisi. Vi lamentate delle iniziative protezionistiche che ho applicato, ma il loro impatto è irrisorio rispetto al "protezionismo valutario cinese". Questa linea d'azione scaricherà i costi dell'aggiustamento sui partner commerciali della Cina. Per citare ancora Strauss-Kahn, "una valuta più forte è uno degli elementi di una serie di riforme necessarie. Permettere che il renminbi e altre valute asiatiche si rivalutino rispetto alle altre contribuirà a incrementare il potere d'acquisto delle famiglie, a far crescere la quota dei salari sul reddito e a offrire gli incentivi giusti per reindirizzare gli investimenti"».
«Voi avete deciso, sicuramente, che questi predicozzi sono irrilevanti. Ma quello che forse non avete chiaro è la velocità con cui un paese democratico è in grado di mutare atteggiamento, passando dalla mano tesa al pugno chiuso. Se nel prossimo anno o due il vostro surplus nel saldo con l'estero dovesse nuovamente schizzare alle stelle, e il nostro deficit dovesse fare lo stesso, sarebbe qualcosa che non potremmo assolutamente ignorare. Tanto più che analisti equilibrati –la Goldman Sachs, nel caso specifico – stimano che la Cina, proseguendo sulla strada attuale, nel 2020 potrebbe avere un surplus maggiore, rispetto al Pil mondiale, del "surplus combinato della Germania, del Giappone e dei Paesi del Medio Oriente nel 2007"».
«Ma non abbiamo tutto questo tempo. Se l'economia interna americana rimarrà debole e la disoccupazione rimarrà alta, mentre continuerà a crescere in modo esponenziale il nostro deficit commerciale, in particolare quello negli scambi bilaterali con la Cina, la pressione per "fare qualcosa" diventerebbe troppo forte. Dovrei prendere in considerazione azioni come quelle decise da Richard Nixon nel 1971: per costringere la Germania e il Giappone a rivalutare la loro moneta, il presidente di allora minacciò di introdurre una so-prattassa alle importazioni del 10 per cento. Con grande dispiacere potrei sentirmi obbligato a fare altrettanto, sostenendo poi che la determinazione della Cina a ostacolare gli indispensabili aggiustamenti del tasso di cambio era diventata intollerabile. Gli Stati Uniti hanno il diritto di proteggersi da un mercantilismo tanto spinto. Il sistema degli scambi ne uscirebbe terribilmente danneggiato, ma l'alternativa sarebbe insopportabile ».
Obama ha parlato in termini tanto crudi? Probabilmente no. Avrebbe dovuto farlo? Sì, a mio parere. Abbiamo perso abbastanza tempo a discutere delle politiche valutarie della Cina. Ora è il momento di agire.
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