
Basta ambiguità. A Nord come a Sud di quel Mediterraneo che, da confine, si è trasformato in inghiottitoio. «Saremo fermi e netti sul tema dell’immigrazione e non accetteremo un Consiglio superficiale», dice il premier Enrico Letta. E aggiunge: «Non accetteremo più dalle autorità libiche mezze risposte». È un Letta deciso a imprimere una svolta alle politiche europee all’immigrazione, quello che annuncia la linea dell’esecutivo in vista del prossimo vertice di Bruxelles del 24 e 25 ottobre. Conscio delle difficoltà di doversi confrontare - come ricorda il ministro degli Esteri Emma Bonino con un paese in cui «l’instabilità politica comporta che non ci sia alcun controllo». Intanto a Palazzo Chigi si lavora alle prime modifiche della Bossi-Fini, per rendere i Centri identificazione ed espulsione più umani ed efficienti.
Letta spiega dunque che a Bruxelles «chi ha responsabilità istituzionali deve dare risposte. Noi puntiamo, a partire dal Consiglio europeo e poi nei due semestri di presidenza, al rafforzamento di Frontex, alla messa in funzionamento di Eurosur nei tempi previsti, a una discussione sui temi del diritto d’asilo a livello europeo e una forte capacità della missione Mare Nostrum di incidere nei paesi d’origine. Eurosur - ricorda - deve partire il 2 dicembre e la missione Mare Nostrum scade il 2 dicembre». Bisogna intervenire a monte: «Lavoreremo affinché la costa libica venga pattugliata. Ma non accetteremo più dalle autorità libiche mezze risposte: si assumano le loro responsabilità». Un compito difficile, ricorda il ministro degli Esteri. Se Bruxelles, con la Commissaria Malmstrom, suggerisce la strada degli accordi bilaterali con i paesi terzi, Bonino è netta: «Perché ci siano accordi, il paese terzo deve esistere. In Libia ci sono molte difficoltà perché non c’è controllo del territorio».
Sul fronte interno c’è il "tagliando" da fare a una Bossi- Fini. Il ministro dell’Integrazione Cecile Kyenge e per il ministero dell’Interno il viceministro Filippo Bubbico e il sottosegretario Roberto Manzione stanno limando un testo di riforma per i Cie, teatro di rivolte quasi quotidiane: «Drastica riduzione» del tempo massimo di permanenza dei migranti da identificare: i 6 mesi previsti erano stati portati a 18 dall’allora ministro Roberto Maroni. Poi revisione del sistema di affidamento della gestione dei Cie, attuato con bandi al ribasso che privilegiano spesso la proposta più economica a scapito dell’offerta di servizi adeguati. Infine, eliminazione della norma per cui gli stranieri detenuti a fine pena escono spesso senza essere stati identificati e vanno di nuovo essere rinchiusi nei Cie per accertarne l’identità per l’espulsione: affollamento dei Cie, promiscuità tra ex delinquenti e semplici irregolari (uno spacciatore magrebino con un badante indiano che ha perso lavoro e permesso), sperpero di denaro.
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