
16/04/10
Corriere della Sera
Due squadre operative che si muovono in simultanea. Una volata nel sud dell’Afghanistan dove si trova l’ospedale di Emergency e dove i britannici hanno il controllo dell’area. L’altra è rimasta a Kabul per trattare con i servizi segreti locali. La missione degli 007 italiani entra nella fase più delicata, dopo il trasferimento nella capitale di Marco Garatti, Matteo Dell’Aira e Matteo Pagani, gli operatori sanitari arrestati sabato scorso. I tre sono nelle mani dell’intelligence afghana, adesso è con loro che bisogna mediare per ottenerne il rilascio. E soprattutto per evitare che continui ad alzarsi la posta, proprio come di solito avviene per i sequestri di persona.
Le notizie fatte filtrare sui giornali e sulle televisioni locali confermano che l’accusa di aver complottato contro il governatore della provincia di Helmand era soltanto un pretesto, mentre il vero interesse delle autorità riguarda quanto accaduto durante i rapimenti di Gabriele Torsello nel 2006 e Daniele Mastrogiacomo nel 2007, entrambi conclusi grazie al negoziato portato avanti da Emergency.
In entrambi i casi fu delegato alla mediazione Ramatullah Hanefi, il responsabile dell’ospedale di Lashkar Gab. Garatti ebbe invece il compito di far da collegamento tra lui e l’organizzazione umanitaria che era in contatto costante con il governo, all’epoca guidato da Romano Prodi: girava le informazioni trasmesse,
gli aggiornamenti che poi finivano anche sul sito Internet di’ Peacereporter.
Ad inquietare la diplomazia sono i continui riferimenti ai soldi che vengono veicolati attraverso i mass media. Ieri il presidente dell’Unione nazionale dei giornalisti dell’Afghanistan Abdul Hamid Mobariz ha chiesto un indennizzo per la famiglia dell’interprete Adjmal Nashkbandi, giustiziato venti giorni dopo il rilascio del giornalista, «visto che abbiamo saputo che per liberare Mastrogiacomo fu pagato un milione e mezzo di dollari e alcuni soldi finirono in tasca a Garatti». Falsità, infamie che secondo gli analisti sono state messe in circolazione per alzare la posta. Forse addirittura per convincere il governo italiano a versare una nuova contropartita.
Alla diplomazia appare chiaro come l’interesse sia concentrato su Garatti. Ma importante adesso è non dividere le posizioni, pretendere il rilascio di tutti e tre, sia pur nel rispetto delle procedure e dunque dello svolgimento delle indagini. Fondamentale è mantenere una linea di fermezza, soprattutto per quando riguarda la salvaguardia dei loro diritti che già ora appaiono violati, visto che non sono stati rispettati i tempi per la formalizzazione delle eventuali accuse, nè è stato consentito loro di incontrare uno degli avvocati designati per la difesa.
I tempi non saranno brevi, questo ormai appare un dato certo. Ma l’obiettivo del governo è quello di stringerli al massimo e soprattutto di evitare che si possa arrivare a un dibattimento. Per questo è stata confermata la massima disponibilità alla trattativa. Perché, questo è stato ribadito più volte, i tre erano in Afghanistan esclusivamente per portare avanti la loro missione umanitaria e dunque per salvare le persone.
Le notizie fatte filtrare sui giornali e sulle televisioni locali confermano che l’accusa di aver complottato contro il governatore della provincia di Helmand era soltanto un pretesto, mentre il vero interesse delle autorità riguarda quanto accaduto durante i rapimenti di Gabriele Torsello nel 2006 e Daniele Mastrogiacomo nel 2007, entrambi conclusi grazie al negoziato portato avanti da Emergency.
In entrambi i casi fu delegato alla mediazione Ramatullah Hanefi, il responsabile dell’ospedale di Lashkar Gab. Garatti ebbe invece il compito di far da collegamento tra lui e l’organizzazione umanitaria che era in contatto costante con il governo, all’epoca guidato da Romano Prodi: girava le informazioni trasmesse,
gli aggiornamenti che poi finivano anche sul sito Internet di’ Peacereporter.
Ad inquietare la diplomazia sono i continui riferimenti ai soldi che vengono veicolati attraverso i mass media. Ieri il presidente dell’Unione nazionale dei giornalisti dell’Afghanistan Abdul Hamid Mobariz ha chiesto un indennizzo per la famiglia dell’interprete Adjmal Nashkbandi, giustiziato venti giorni dopo il rilascio del giornalista, «visto che abbiamo saputo che per liberare Mastrogiacomo fu pagato un milione e mezzo di dollari e alcuni soldi finirono in tasca a Garatti». Falsità, infamie che secondo gli analisti sono state messe in circolazione per alzare la posta. Forse addirittura per convincere il governo italiano a versare una nuova contropartita.
Alla diplomazia appare chiaro come l’interesse sia concentrato su Garatti. Ma importante adesso è non dividere le posizioni, pretendere il rilascio di tutti e tre, sia pur nel rispetto delle procedure e dunque dello svolgimento delle indagini. Fondamentale è mantenere una linea di fermezza, soprattutto per quando riguarda la salvaguardia dei loro diritti che già ora appaiono violati, visto che non sono stati rispettati i tempi per la formalizzazione delle eventuali accuse, nè è stato consentito loro di incontrare uno degli avvocati designati per la difesa.
I tempi non saranno brevi, questo ormai appare un dato certo. Ma l’obiettivo del governo è quello di stringerli al massimo e soprattutto di evitare che si possa arrivare a un dibattimento. Per questo è stata confermata la massima disponibilità alla trattativa. Perché, questo è stato ribadito più volte, i tre erano in Afghanistan esclusivamente per portare avanti la loro missione umanitaria e dunque per salvare le persone.
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