
Caro Augias, è stata presentata una proposta di legge di iniziativa popolare per la legalizzazione della eutanasia. Ne sono autori l’Associazione Coscioni, Uaar ed Exit. La sorreggono tre dati:1) oltre il 60% degli italiani (70% nel nord-est, leghisti compresi) è favorevole; 2) in Italia ogni anno, non potendo ottenere “la dolce morte”, mille malati terminali si suicidano ed altri mille tentano di farlo; 3) secondo studi accreditati, oltre il 60% dei malati terminali (oltre 50mila) ricoverati nei reparti di terapia intensiva muore con l’aiuto dei medici, che sospendono le terapie e magari aumentano le dosi di morfina. Molti medici la definiscono “desistenza terapeutica”, e non eutanasia, ma a me pare una questione nominalistica. Resta la realtà di una diffusa eutanasia clandestina, basata sulla logica gesuitica del “si fa ma non si dice”. Il guaio è che proprio a causa della clandestinità aumentano quei rischi di “derive” agitate come spauracchi dal Vaticano e dai Teodem. Per avere finalmente una legge che regolamenti la materia servono 50 mila firme autenticate entro 4 mesi. Tutte le notizie su dove, come e quando firmare sul sito www.eutanasialegale.it.
Carlo Troilo
Mi ha colpito per la sua logica impeccabile l’intervento del professor Vito Mancuso domenica scorsa su questo giornale. Trascrivo il periodo che mi pare racchiuda il nocciolo della sua argomentazione: «A mio avviso rispettare la vita di un essere umano significa in ultima analisi rispettare la sua libera coscienza che si esprime nella libera autodeterminazione. Se un essere umano ha liberamente scelto di mettere fine alla sua vita-bios perché l’esistenza è diventata una prigione e una tortura, chi veramente vuole il “suo” bene [...] lo deve rispettare. Questo sentimento [...] deve tradursi in concreta azione politica, nell’impegno a far sì che lo Stato dia a ciascuno la possibilità di “vivere” la propria morte nel modo più conforme a come ha vissuto la propria vita, in modo tale che si possa scrivere l’ultima pagina del libro della propria vita con responsabilità e dignità. Il diritto alla vita è inalienabile, ma non si può tramutare in un dovere». Questo brano presenta almeno tre aspetti che lo rendono particolarmente valido. Il primo è che può essere smentito solo con un’affermazione di tipo dogmatico, cioè estranea alle coordinate della logica - oltre che della misericordia. Il secondo è che il suo autore è un cattolico praticante e professore di teologia. Il terzo, ma non meno importante, è che incontra la sensibilità comune prevalente. La sola obiezione che vedo è di bassa politica. In un paese che strizza l’occhio alla doppia morale affrontare questioni di principio, giuste che siano, può essere inutile.
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