
La sorpresa è nel confronto. Se si osserva il salario orario lordo medio di un italiano, e lo si paragona con quello di una connazionale, si scopre che da noi le donne hanno la busta paga più «maschia» d'Europa. Non te lo aspetti in un Paese che gli stereotipi amano dipingere sessista e macho. Invece il risultato batte i luoghi comuni, signore e signorine guadagnano appena il 4,9 per cento in meno. Soprattutto, sono più vicine delle colleghe del continente dove, sempre nella media, il divario retributivo è del 18%. Un numero che, secondo la Commissione Ue, segnala un problema «intollerabile e difficile da sradicare». In molti Stati più che in Italia dove, per una volta, non siamo lontani dall'equilibrio virtuoso.
Sospiro di sollievo che non azzera i problemi. Ce ne sono a livello europeo per quanto riguarda la remunerazione del lavoro e la parità di genere, e a quello nazionale per un «gentil sesso» in recupero, ma ancora in ritardo rispetto al resto dell'Ue, per accesso all`occupazione o al semplice uso delle tecnologie informatiche. La Commissione spiega in parte il primato italiano col peso più basso di «lavoro rosa» sul totale: «Quelle che hanno un impiego - si nota - sono le più preparate».
E' dunque una vittoria a metà in una gara in cui sono pochi a uscire col sorriso. «Sono molto preoccupata per il fatto che il divario salariale fra uomini e donne sia diminuito di poco negli ultimi 15 anni e in alcuni paesi sia addirittura in aumento», accusa Viviane Reding, responsabile Ue per la Giustizia. Consola che l'80% dei cittadini giura di essere favorevole a colmare il divario salariale. Consola, sebbene il 20% di contrari sia ancora un dato troppo grosso.
Il guaio è che i primi della classe non vanno bene. In Germania un uomo guadagna in media il 23% più di una donna, nel Regno Unito la differenza è del 21,4% e in Francia si va appena meglio (19,4%). La circostanza che Malta, Spagna, e Portogallo siano sotto la valore di riferimento Ue fa riflettere su quanto si racconta sul ruolo del maschio nel Mezzogiorno dell' Unione, ma anche sulla partecipazione al mercato del lavoro. Nelle economie del Nord, la scusa è che il part time più diffuso alleggerisce i cedolini. Vero.
I numeri di contorno chiariscono il quadro. In Europa, il calcolo della media rivela che ha un lavoro il 71% degli uomini e il 58,7 delle donne. In Italia i due numeri diventano il 68,9% e il
46,1, come dire che appena una signora su due è occupata; peggio si classificano solo le maltesi (37,9% per le donne). Un problema di ambiente e di attitudine?
Il dubbio lo solletica il dato sulle italiane che usano l'e-mail (il 34% del totale); sono la metà di
olandesi e inglesi. Quelle che gestiscono un conto corrente online (12%), arrivano a un terzo delle tedesche e un sesto delle estoni. Qui, per la verità, stanno male anche gli uomini. Bruxelles sottolinea che di questi tempi «il divario salariale tra i sessi è un costo che non ci si può permettere». L'eliminazione di ogni disparità di genere, secondo uno studio del governo svedese, potrebbe «condurre a un incremento potenziale del Pil fra il 15% e il 45%». Senza contare che il fenomeno potrebbe trasformarsi in piaga sociale: il 22% delle donne di oltre 65 anni rischia la povertà, contro il 16% degli uomini. Chiaro che bisogna agire. In due, e alla pari, si fa meglio che da soli.
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