
Dunque, le anticipazioni dei dati del Rapporto Sentieri che a settembre avevano tanto fatto arrabbiare il ministro dell’ambiente e che quello della sanità aveva smentito raccontavano la verità. Anzi, in alcuni casi forse la approssimavano per difetto. Perché, al di là della correttezza o meno di chi diffuse notizie non autorizzate o, come disse Balduzzi, non ancora complete (2003-2008), la sostanza c’era già tutta.
Allora qualcuno pensò – e ieri la radicale Elisabetta Zamparutti ha riproposto l’argomento – che in una situazione incandescente come quella che stavano vivendo i lavoratori dell’Ilva e tutta la città di Taranto fosse prevalsa una scelta politica: ritardare la divulgazione di dati esplosivi in attesa che il ministero dell’ambiente completasse i suoi lavori per la nuova autorizzazione integrata ambientale che avrebbe recepito anche le istanze del dicastero della salute.
Adesso che i numeri sono stati illustrati con il massimo dell’ufficialità – il ministro Balduzzi è andato appositamente a Taranto – la drammaticità della situazione che da essi emerge non può più essere sottovalutata. «I dati relativi all’incidenza dei tumori nel sito di interesse nazionale di Taranto – si legge nella scheda di sintesi relativa al 2003-2009 – mostrano per gli uomini un eccesso, rispetto al resto della provincia, del 30 per cento per tutti i tumori», mentre «per le donne si rileva un eccesso di circa il 20 per cento. Alcuni dati specifici sono impressionanti: per gli uomini 50 per cento in più di tumore al polmone, 100 per cento di mesotelioma, 40 per cento di tumore del fegato; per le donne più 24 per cento di tumore alla mammella, 80 del corpo dell’utero, 100 per cento dello stomaco. E, se possibile ancora più inquietante, a causa dell’inquinamento industriale a Taranto c’è un 20 per cento di mortalità in più nel primo anno di vita rispetto al resto della Puglia. Tra i principali fattori di rischio, sancisce lo studio del ministero, le polveri sottili Pm10 emesse dallo stabilimento siderurgico dell’Ilva.
E adesso? Il ministro Balduzzi ha detto che l’Aia predisposta da Clini (che non ha ancora firmato il decreto) ha recepito le richieste della salute, tra cui quella di avviare un biomonitoraggio sui lavoratori dell’Ilva e sulla popolazione di Taranto con particolare riguardo ai bambini. I due ministeri, dunque, hanno lavorato di concerto. Non è difficile, tuttavia, avvertire una differenza significativa di punti di vista e di valutazione tra Balduzzi e Clini. Il ministro dell’ambiente fin dall’intervento che tenne alla camera il primo agosto e che via via è andato ribadendo, fino a ieri, ha una convinzione: «Trasferire i dati che riguardano la storia sanitaria di decenni alla situazione attuale dell’Ilva è un’operazione tecnicamente scorretta». Clini ritiene che i numeri devastanti dello studio Sentieri indichino le conseguenze di un accumulo di effetti delle sostanze inquinanti (diossina e benzopirene) di cui è responsabile lo stabilimento siderurgico dagli anni ’60, cioè ben prima che arrivassero i Riva. Inoltre, il ministro ha più volte affermato che l’Ilva negli ultimi anni ha effettuato investimenti cospicui per il risanamento ambientale. Dalla società solo una secca reazione: «Lo studio fotografa il passato». Se l’Ilva riterrà insostenibili le prescrizioni dell’Aia, potrebbe gettare la spugna e abbandonare i 15 mila lavoratori al loro destino. Nelle stanze ministeriali c’è chi già ragiona sul piano B, la vendita. Chi potrebbe essere interessato? I francesi della ArcelorMittal o magari i tedeschi della ThyssenKrupp, tristemente noti in Italia.
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