
In carcere per l´omicidio di Marco Biagi, commesso nel 2002, la terrorista Diana Blefari si è uccisa dopo aver ricevuto notifica della sentenza della Corte di Cassazione che confermava il suo ergastolo. Si è impiccata facendo un cappio con le lenzuola del letto, nella sua cella di Rebibbia. Le condizioni psichiche della terrorista erano pessime. Molti lo sapevano. I medici del carcere ne avevano già chiesto il trasferimento in un´altra struttura più idonea e avevano sottolineato, a varie riprese, il rischio di un gesto irreversibile. "Un suicidio prevedibile", dichiara Angiolo Marroni, garante dei detenuti del Lazio. "Il sessantesimo caso di suicidio in carcere dall´inizio dell´anno", ribadisce il presidente dell´associazione Antigone, che si batte per i diritti dei detenuti. Come è possibile che un paese democratico che proclama l´universalità dei diritti dell´uomo e considera la dignità della persona un valore supremo da rispettare sempre e comunque non prenda le misure adeguate per evitare una tragedia come questa? Per quanto in prigione per ragioni legittime, nessun detenuto merita questa sorte.
La necessità di far rispettare la legge uguale per tutti, è fuori discussione. Non si tratta in alcun modo di mettere in dubbio uno dei cardini della giustizia, il principio chiave di ogni sistema giudiziario, in base al quale ad ogni crimine corrisponde una pena. L´esistenza di un´infrazione, di un crimine o di un delitto merita la giusta punizione. Non solo perché si sono infrante delle leggi e si è messo in pericolo l´ordine pubblico, ma anche e soprattutto perché, nel caso di crimini contro le persone, in particolare un omicidio, qualcuno si è arrogato il diritto di alzare la mano contro un altro essere umano. Esistono dei doveri cui tutti devono sottoporsi e, nel momento in cui questi non vengano rispettati intenzionalmente (mens rea), non si è solo responsabili, ma anche colpevoli.
Ma cosa significa punire? Come determinare la pena adeguata per l´autore di un crimine senza tornare alla legge del taglione? "Occhio per occhio, dente per dente", recita l´adagio. Ma la giustizia comincia dal momento in cui si abbandona la logica della vendetta per definire una pena proporzionale al delitto commesso. Nel famoso saggio di Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene, il filosofo milanese insisteva sul ruolo preventivo della pena. Per Beccaria il fine delle pene non doveva essere "vendicativo", ma "rieducativo". È per questo che oggi si è d´accordo nel ritenere che una sanzione sia giusta non soltanto se è proporzionata alla colpa, ma anche se l´autore di un delitto o di un crimine è riconosciuto legalmente responsabile, ossia capace di intendere e di volere al momento dei fatti. Una volta, però, che la pena è stata pronunciata, in che modo applicarla? Si possono dimenticare le circostanze particolari in cui si trovano i condannati, e non fare attenzione allo stato di salute di coloro che, privati della libertà personale, scontano la propria pena in carcere?
"Il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona", sostiene la legge promulgata nel 1975 per regolamentare le condizioni di vita delle carceri italiane. Eppure, in questi ultimi anni, le condizioni di vita dei carcerati sono diventate sempre più precarie. Gli spazi disponibili si sono drasticamente ridotti. I momenti comunitari sono scomparsi. Il numero dei suicidi è aumentato in modo esponenziale. Al punto tale che l´Italia è stata condannata dalla Corte Europea dei diritti dell´uomo per "trattamenti inumani e degradanti". Questo ultimo gesto drammatico, il suicidio di Diana Blefari, non è che un sintomo supplementare; il segno che qualcosa non funziona più. Come dice il Conseil d´État in Francia, l´amministrazione penitenziaria – e più generalmente lo Stato – è responsabile dello stato di salute di un detenuto e colpevole di mancata vigilanza nel caso di un suicidio (CE, 9 luglio 2007)
Diana Blefari era malata. Il suo stato psichico necessitava il ricovero. La sua fragilità aveva bisogno di un´attenzione che nessuno dovrebbe negare a chi, pur colpevole, soffre talmente tanto da non esitare a mettere fine ai propri giorni. Punire non significa dimenticarsi che ciò che ci rende umani non è solo la capacità di vivere in una società rispettandone le regole, ma anche e soprattutto la compassione di fronte alla sofferenza.
Se vuoi conoscere davvero un paese, diceva Voltaire, visitane le prigioni.
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