
Dopo un percorso faticoso e pieno di intoppi, non ultimo lo sgambetto leghista che ha impedito il binario veloce per l’approvazione della legge che dimezza il finanziamento pubblico dei partiti, Montecitorio approva la dieta. Con 291 voti a favore e l’apporto significativo del Partito democratico che dell’intero processo è stato il principale motore e nel quale si sono registrati anche alcuni dissensi. Vassallo, critico da sempre, è uscito dall’aula, Barbi e Rubinato si sono astenuti, e i prodiani hanno fatto sapere con La Forgia che la legge «affronta la questione in modo gravemente sbagliato », Parisi ha votato in dissenso. Da segnalare anche che l’Api, pur ritenendo il provvedimento un passo avanti, si è astenuta.
Alla ricerca di un recupero di credibilità di fronte all’opinione pubblica, il Palazzo fa un gesto necessario anche se probabilmente non sufficiente. E dà dunque il via libera alla sostanziale riduzione dei contributi pubblici a partire dalla tranche di luglio e destina i risparmi alle zone del paese che sono state colpite da calamità naturali negli ultimi tre anni. Si tratta di 150 milioni in due anni (91 per il 2012 e 69 per il 2013).
Il sistema dei finanziamenti viene ridefinito: rimborsi elettorali per il 70 per cento, contributo dello stato sulle risorse raccolte privatamente per il 30 per cento (secondo il modello tedesco). Vengono inoltre inserite forme di controllo più stringenti. I bilanci dei partiti devono essere pubblicati sul web e devono essere sottoposti a società di revisione indipendente oltre che al controllo di una commissione ad hoc composta da cinque magistrati (tre designati dal presidente della Corte dei conti, uno da quello del Consiglio di stato, uno da quello della Cassazione). Un nodo, questo, che fin dall’inizio ha suscitato polemiche e discussioni. Sottolineate dall’intervento del presidente della Corte dei Conti, che Luigi Giampaolino, che ha scritto a Fini per evidenziare che «la competenza su ogni forma di controllo» sui bilanci dei partiti spetta alla magistratura contabile e profilando eventuali elementi di incostituzionalità.
In caso di inadempienza il testo prevede inoltre sanzioni che arrivano anche all’azzeramento delle risorse ricevute. E prevede sgravi fiscali per i privati che contribuiscono, equiparando partiti e onlus (l’aliquota passa dal 19 al 24 per cento per il 2013 e al 26 dal 2014) anche se per i partiti la detrazione scatta sulle donazioni tra i 50 euro e i 10mila, per le onlus solo per importi non superiori ai duemila euro.
Diventa un caso l’emendamento Udc che stabilisce – in realtà una sorta di anticipazione di quanto dovrà stabilire la disciplina dell’articolo 49 della Costituzione – che i partiti che vogliono concorrere al finanziamento pubblico sono tenuti a dotarsi di un atto costitutivo e di uno statuto. Subito bollato come norma antiGrillo, visto che M5S non ha uno statuto.
Il comico genovese non perde l’occasione per rilanciare rumorosamente il suo leit motiv di sempre: niente finanziamento pubblico. E annuncia che alle politiche rinuncerà ai rimborsi «come già è avvenuto in passato per le regionali ». Una voce che si aggiunge a quella di Di Pietro e dei Radicali, già pronti alla battaglia referendaria.
Con questi chiari di luna la dieta andava fatta. Ma non basterà.
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