
I titoli di coda vanno in dissolvenza, gli spot si spengono, l’intervista con Lucia Annunziata è finita e Gianfranco Fini può rilassarsi: «E una domanda sui colonnelli di An non me l’ha fatta? Avevo la battuta pronta...». Quale? «Loro hanno soltanto cambiato caserma...».
E’ un uomo ancora carico di adrenalina Gianfranco Fini che, dopo una lunga quaresima, è tornato a parlare in un talkshow televisivo. L’aplomb emotivo e la misura messa nelle sue risposte non devono però tradire la sostanza: Fini non rompe con Berlusconi, ma tiene il punto. Non toglie il disturbo. E lo fa con due messaggi espliciti e forti. Uno a Berlusconi e uno a Bossi. Sui futuri decreti attuativi del federalismo, che tanto stanno a cuore alla Lega, il presidente della Camera scandisce: «Contesto chi dice di volere il federalismo fiscale ad ogni costo e penso che sarà il Pdl in primis a dirlo», perché «non ci deve essere il più minimo sospetto che si possa lacerare la coesione nazionale». E in ogni caso perché bisognerà avere «costi sostenibili e compatibili con i conti pubblici».
Per quanto riguarda la giustizia - che invece sta a cuore a Berlusconi - Fini mette i paletti dai quali, par di capire, non si sposterà più perché rappresentano la continuità tra il Fini del passato e quello del futuro: «La magistratura non è un cancro», «è baluardo della legalità», «sono favorevole alla separazione delle carriere», ma «nessuno ci chieda che i pm siano dipendenti dall’esecutivo». E soprattutto: «Quelli che si riconoscono nelle mie parole, chiederanno di discutere cosa significano riforma della giustizia e del Csm». Nel corso del colloquio intervista con la Annunziata, Fini ha alternato risposte diplomatiche e messaggi politici.
Un nuovo partito finiano? «Sgombriamo il campo da questo equivoco: non ho alcuna intenzione di fondarlo». La lite con BerIusconi è stato un terribile autogol? «Non c’è motivo per pensare di essersi suicidati. Ho squarciato il velo dell’ipocrisia». Il pressing per costringere Fini a dimettersi da presidente della Camera? «Berlusconi ha detto una cosa che non corrisponde al vero: che io mi dovrei dimettere perché ho espresso una opinione in parte dissenziente da quanto espresso dal presidente del Consiglio che è il leader anche da me riconosciuto del Pdl». Sul rapporto personale tra lui e Berlusconi, Fini ha sparso una dose extra di analgesico: «Non ho mai messo in discussione la sua leadership. Lui ha diritto di governare e per il 25 aprile ha fatto un discorso alto e nobile». Ma appena si parla dello scenario più pericoloso per il futuro di Fini, elezioni anticipate che lo stritolerebbero, lui diventa meno diplomatico: «E’ da irresponsabili il solo parlarne, perché ci porterebbero in Grecia e sarebbe il fallimento di Berlusconi che ha una maggioranza come non si vedeva da tempo. Non ci saranno imboscate, noi saremo leali, ma non ci si potrà chiedere l’acquiescenza senza discutere». Sul suo futuro, Fini resta molto generico, a conferma che non esistono progetti strategici: «Nel Pdl intendo rappresentare una destra moderna che non insulta e che cerca di dialogare con l’avversario». Fini ammette che il rischio di epurazioni all’interno del Pdl «è stato messo in conto» ma si tratterebbe di una mossa «poco liberale». E quanto al suo nuovo braccio destro Italo Bocchino (che ieri lo ha accompagnato in Rai) e che ha messo sul tavolo le proprie dimissioni, Fini è amaro: «Ma davvero oggi bisogna che il vicario del gruppo Pdl alla Camera metta la sua testa? E per che cosa? Non è un problema di posti».
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