
Il volto e la sapienza parlamentare sono quelli di Nancy Pelosi, Madam Speaker come recita il suo titolo, che lasciando l’aula dopo il voto ha replicato ai complimenti con quello che appare già come il migliore degli understatement della storia parlamentare americana: «Dopo tutto, è stato facile». In realtà non lo è stato affatto. Pelosi ha messo insieme un successo mai ottenuto da nessuno dei suoi predecessori: una maggioranza risicata, ma maggioranza, di 220 contro 215 a favore dell’assistenza medica universale in America.
Ma questa vittoria non sarebbe stata possibile senza un incredibile, inatteso, e fino all’ultimo improbabile accordo con i vescovi della Chiesa cattolica americana. Senza il loro sì molti dei deputati democratici non avrebbero votato a favore.
Dentro questa prima vittoria in Congresso della riforma medica è nascosta dunque una seconda pepita d’oro. L'accordo trovato fra Casa Bianca e Chiesa ha implicazioni ben più profonde della stessa vittoria parlamentare, perché traccia ora una strada maestra nei rapporti fra il presidente Barack Obama e papa Benedetto.
Il compromesso trovato dimostra fin dal suo percorso il valore di cambiamento che contiene.
Da parte democratica è stato il capolavoro, come si diceva, di Nancy Pelosi, capo della maggioranza democratica alla Camera. La Pelosi è essa stessa cattolica (sia pur «da caffetteria» come dicono i conservatori), ma anche, da anni, voce preminente a favore dei diritti delle donne e dunque dell’aborto.
Dall’altra parte, c’è stata la Conferenza episcopale che fino alle ultime ore prima del voto ha tenuto il punto, mobilitando le sue parrocchie in tutti gli Usa, perché la riforma non contenesse un indiretto via libera all’aborto fornendogli copertura medica. L’assistenza finanziaria all’interruzione della gravidanza non è punto irrilevante - il maggior numero di aborti si segnala infatti proprio fra le classi più povere. Argomento questo imbracciato, di converso, dalle molte organizzazioni femminili per dimostrare quanto ogni eventuale compromesso su questo emendamento sia punitivo proprio per le donne più esposte.
Che in questo ginepraio di voci, interessi e fedi, si sia alla fine trovata una intesa è quasi un miracolo. Intesa che, da sola, come si diceva, prova non solo la saggezza politica dei democratici, ma anche quanto importante sia per l’amministrazione Obama un accordo con i cattolici.
La prima ragione che ha indotto Obama a trattare - anche mettendo in conto di perdere, come è successo, una parte di elettorato femminile - ha a che fare con la composizione dell’attuale Congresso. I democratici negli Anni 80 e 90 hanno continuato ad eleggere senza problemi rappresentanti con forti opinioni pro aborto. Ma nelle ultime elezioni Obama ha trascinato con sé a Washington una maggioranza così ampia e variegata da non permettere più una posizione coesa sul tema. Semplicemente, i nuovi eletti hanno una base troppo differenziata per poter votare una rottura radicale con la Chiesa.
La Chiesa, appunto. L’altro grande protagonista di questa battaglia. La Chiesa americana, come si sa, ha vedute sociali molto ampie, ed ha appoggiato con entusiasmo Obama. Non era un appoggio scontato. I democratici sono anche in buona parte cattolici, ma questo voto dei fedeli di Roma negli ultimi anni è stato molto oscillante. Proprio nella rielezione del 2004 di Bush, e proprio sul tema dei valori e dell’aborto, passò in massa ai repubblicani. La riconquista di questo settore di elettori è dunque molto preziosa per i democratici di oggi. La Chiesa Usa, a dispetto di tutte le sue traversie - di cui la più famosa sono gli scandali pedofili - e del diminuire dei suoi fedeli, mantiene infatti una grande influenza proprio nelle aree sociali colpite oggi dalla crisi, le zone ex operaie, ed è rilevantissima fra i latini, unico settore di voto che tende a crescere.
Eppure, in questa ricerca di una sintonia fra Casa Bianca e Chiesa cattolica in America c’è qualcosa di più degli stessi interessi nazionali comuni. Obama è molto amato dai vescovi Usa per la sua piattaforma sociale anche a livello internazionale. Questi vescovi, potente forza anche nella politica del Vaticano, sono dunque forti sostenitori di un rapporto speciale fra Roma e Washington. Fra Benedetto e Obama, ragionano, ci sono grandi interessi comuni: la giustizia sociale, l’Africa, il progetto «verde» per il mondo. Ma finora proprio la posizione dei democratici sull’aborto ha impedito ai rapporti fra Roma e Washington di diventare calorosi.
La Chiesa americana, lavorando per un accordo sulla riforma universale senza aborto, ha inteso dunque lavorare anche a far progredire le relazioni fra queste due grandi potenze che sono gli Usa e il Vaticano. La loro collaborazione, sognano i vescovi Usa, può preparare un ulteriore passo avanti per tutto il mondo.
E’ dunque con questo senso di speranza che dobbiamo leggere l’articolo scritto ieri dal settimanale cattolico «America», fondato nel 1909, gestito dai gesuiti, considerato la più influente voce cattolica del Paese. Il titolo è: «Il voto alla Camera: un grande trionfo per la Chiesa», e vi si riafferma il senso di un passaggio storico, di una mediazione trovata su due temi difficili eppure irrinunciabili. E’ stato un trionfo della Chiesa cattolica. Ma anche per una visione del mondo che la Chiesa ha sostenuto spesso da sola, contro l’individualismo radicale della cultura americana. «Il nostro credo che l’assistenza universale sia un diritto, non un privilegio, ha ieri fatto un gigantesco passo avanti. Ieri ha fatto un gigantesco passo avanti anche l’idea che l’opposizione all’aborto sia un principio su cui non sono possibili compromessi».
Come si vede, sono parole chiare, e impegnative. Soprattutto per Obama.
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