
Dire a qualcuno che è un gay è una vera e propria ingiuria, anche se la persona a cui è rivolta l'espressione ha effettivamente tendenze omosessuali. Parola di Cassazione che ha confermato la multa di 400 euro per ingiuria nei confronti di un ex-vigile settantenne di Ancona, che, il 17 novembre 2002, aveva preso carta e penna e aveva scritto ad un collega con il quale da anni vi era una accesa rivalità sostenendo, in pratica, di non poter collaborare con lui nel lavoro quotidiano "perché sei gay". Secondo la prima sessione penale, l'espressione è da censurare in quanto «per il contesto della sua utilizzazione esprime riprovazione per le tendenze omosessuali e un inequivoco intrinseco intento denigratorio».
La vicenda si trascinava dal 2002, quando Dante S. aveva scritto a Luciano T., con il quale da anni vi era un «vivo antagonismo» per arrivare al posto di comandante della polizia municipale di Ancona. Nella lettera, nero su bianco, accusava il suo rivale di essere gay, rinfacciandogli di «aver trascorso una vacanza in montagna con un marinaio» e di essere stato allontanato «da un club sportivo frequentato da ragazzini». Luciano aveva subito sporto denuncia e Dante era stato condannato in primo grado dal giudice di pace di Ancona per ingiuria. Da quel verdetto è nata una vera odissea giudiziaria. La Corte d'Appello ha ribaltato la sentenza, sostenendo che «il termine gay di per sé non è offensivo»; la Cassazione ha annullato il verdetto e ordinato la ripetizione del processo; il tribunale ha ri-condannato; gli avvocati hanno fatto un nuovo ricorso alla Cassazione. Così si è arrivati alla sentenza di ieri: l'uso della parola "gay" è stato ritenuto denigratorio.
«La sentenza, al di là del merito nei fatti, conferma quanto sia necessaria in Italia una legge contro l'omofobia che dia riferimenti certi», commenta la parlamentare del Pd Paola Concia, relatrice lo scorso anno di un disegno di legge "bipartisan", fortemente sponsorizzato anche dal ministro Mara Carfagna ma poi affondato in Parlamento su istanza dell'Udc. Certo, l'episodio di Ancona non somiglia neanche da lontano ai fatti di discriminazione e violenza vera e propria legati al tema dell'omofobia registrati negli ultimi mesi nelle città. Ma, con la sua carica da commedia all'italiana - i due vigili che litigano, la decennale contesa in tribunale per una lettera-forse aiuta a centrare il problema con più immediatezza di altre vicende. A Enrico Oliari, presidente di GayLib, l'organizzazione vicina al centrodestra, preme sottolineare soprattutto un fatto: mentre nei Paesi europei i temi della discriminazione, dell'omofobia, della denigrazione, sono affrontati con scelte chiare dalla politica, «in Italia quando si pronuncia la parola gay la politica è colta da paralisi». Così, il solo referente diventano i tribunali ed è la giurisprudenza ad affrontare problemi che altrove sono risolti dall'innovazione legislativa. «Davanti al tema generale dei diritti degli omosessuali - spiega Oliari - la politica italiana è paralizzata da tradizioni contrapposte e ugualmente inadeguate: il bigottismo di matrice conservatrice e il rivendicazionismo estremista stile gay pride» . Invece bisognerebbe guardare all'Europa, dove per esempio - una vicenda come quella di Ancona è inimmaginabile: in molti Paesi ci sono addirittura corsi per armonizzare la collaborazione nelle forze dell'ordine tra sessi diversi e tra eterosessuali e omosessuali. Nessuno, insomma, penserebbe di risolvere una contesa gridando all'altro: "non posso lavorare con te perché sei gay". E, se accadesse. certo non ci sarebbe bisogno di quattro o cinque processi per stabilire chi ha ragione.
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