
Negli stessi minuti in cui Emma Bonino ha perso per 77 mila voti la sfida con Renata Polverini, una sua omonima trionfava: Emma Marrone, vincitrice di "Amici" su Canale 5. Così ora sono tre le Emme nazionali: non va dimenticata la Marcegaglia di Confindustria.
Ma proprio in quei momenti dopo la mezzanotte nei quali è apparso chiaro che i postfascisti ciociari e i reazionari reatini restituivano la transnazionale Emma B. al suo ambiente naturale (Bruxelles, NewYork, Davos, L’Aia), i radicali si erano già rialzati dal ko: riuniti nella loro sede dietro al Pantheon, ascoltavano Pannella il quale, immune da autocritiche, descriveva fino alle tre di notte le «iniziative di lotta che ci impegneranno da domattina».
E’ questa la terapia che i pannelliani adottano dopo ogni sconfitta: far finta di niente e ricominciare a macinare politica«contro il regime». Hanno fatto così l’anno scorso, quando per la prima volta dopo trent’anni sono stati eliminati dall’Europarlamento: il giorno dopo stavano già pianificando il voto regionale.
E’ successo nel 2006, quando la rediviva Rosa nel pugno aborti. L’allora segretario radicale Daniele Capezzone ripartì come un razzo a criticare il suo non ancora capo Berlusconi e, per par condicio, i propri (in teoria) allora alleati Prodi e Fassino. E fu cosi anche nel 2005, quando dopo la sconfitta del referendum sulla fecondazione assistita concepirono la Rosa nel pugno.
E’ da sessant’anni che Pannella perde. All’inizio degli anni’50 esordì già in minoranza nel Pli di Malagodi. Con Eugenio Scalfari se ne andò e fondò il partito radicale. Subito batoste: zero eletti al comune di Roma nel ‘56, e due anni dopo alle politiche l’1,4%, ma assieme al Pri. In pratica, votarono per loro solo i lettori dei due settimanali «laici»: Il Mondo e L’Espresso. Non domi, i radicali da allora hanno sempre preteso di dettare la linea politica a tutti dall’alto del nulla del proprio consenso popolare. «Mosche cocchiere»: così, citando la favola di Fedro, Togliatti liquidava gli intellettuali che volevano consigliare e ammonire i capi, senza però sporcarsi le mani con il «sangue e merda» (© Rino Formica) della politica reale, del consenso conquistato porta a porta nelle periferie, del contatto con le miserie della gente e i suoi vizi. Perché il vizio di tutti gli idealisti illuminati d’Italia, da Pisacane a Ugo La Malfa, è sempre stato quello che gli scienziati della politica definiscono «minoritarismo».
Ancor oggi, i radicali sono convinti di aver ragione pur essendo una microminoranza. Vendola è riuscito a strappare il 10% per il suo partitino in Puglia, sull’onda della vittoria personale? I radicali in Lazio si sono fermati al solito 3%, nonostante il traino della Bonino.
Nel’99 Emma & Marco agguantarono il loro unico successo: 8% alle europee, secondo partito dopo Fi con punte del 18% in varie città del nord. Allora stavano a destra, liberali e liberisti. Poi non si accordarono con Berlusconi, e ripiombarono alle percentuali abituali. Chiunque, al loro posto, si sarebbe ritirato.
Loro invece ora vogliono insegnare al povero Bersani come guidare il Pd. Perché solo i radicali sono il sale della democrazia, i partigiani della legalità. Non per nulla stanno dietro al Pantheon, sede di «tutti gli dei».
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