
Insieme all’addio di Veltroni a Montecitorio e all’avvio della campagna bersaniana per le primarie da Bettola è stato il caso del fine settimana: la carta d’intenti Pd-Sel-Psi che, ascoltando il risuono delle campane vendoliane, taglia fuori riferimenti espliciti al premier Monti e fa un passo in avanti in tema di unioni civili, aprendo al concetto, caro alla sinistra (anche del Pd e di quanti nel Pd si fanno portavoce delle istanze Lgbt) di coppie omosessuali rievocando una sentenza della Corte costituzionale.
I riformisti e montiani dei Democratici, a cui non è un mistero che la prospettiva di una riedizione della foto di Vasto pur senza Di Pietro non sia propriamente gradita, sono entrati in fibrillazione. Ancora ieri, nel commentare la scelta di Veltroni di non candidarsi, il dem cattolico e montiano Beppe Fioroni sosteneva che è una questione di linea, che a causarla «è stato lo scivolamento verso Vendola». E il leader dell’Udc Casini, eterno altro polo di una eventuale futura alleanza (diventata nella Carta sotto la voce “Europa” un eventuale patto di legislatura con le forze del centro liberale): «La decisione di creare un rapporto così stretto con Vendola e di connotare su Sel anche gli impegni programatici delle primarie del Pd è una scelta del partito di cui prendo atto, non credo che i moderati saranno contenti di sperimentare oggi le coalizioni già sperimentate con Prodi».
Bersani rassicura, spiega che si sta organizzando il campo progressista da cui Casini è fuori e ribadisce che Monti servirà ancora all’Italia, anche se, dopo le elezioni, si dovrà andare oltre. Ma intanto un primo effetto della sigla della Carta nella nuova versione è che Bruno Tabacci, Api, già assessore al bilancio della giunta milanese che lui definisce di sinistracentro, e candidato alle primarie, non la sottoscrive anche perché, scrive sul Corriere della Sera, ritiene che «l’agenda Monti rappresenta il percorso obbligato per l’Italia anche nei prossimi anni». Mentre Di Pietro, su cui Nichi – tattica o no – per ora non smette di insistere, trova lo spiraglio per infilarsi, scrivendo una lettera ai tre leader di Pd, Sel e Psi, per incontrarli e avere «chiarimenti sulla possibilità per l’Idv di poter partecipare alle primarie, pur senza esprimere propri candidati, con proprie mozioni di sostegno alla Carta d’intenti».
Così sono in molti a leggerla, nella sua apertura alle istanze di Nichi, come un primo segnale di avvicinamento fra Pd e Sel. Che potrebbe giungere a produrre alle politiche un listone comune (anche con il Psi di Nencini) con il quale i due partiti “minori” aggirerebbero lo sbarramento (probabilmente il 5 per cento). Per arrivare, in prospettiva, a gruppi unici in parlamento come anticipo di una fusione, in particolare fra Pd e Sel. E chiudere il cerchio attorno a un partito in linea con gli orientamenti del Pse.
Un esito che a Vendola, affezionato all’idea di spostare il Pd a sinistra da insider non dispiacerebbe, a dispetto della sua (contenuta) sinistra interna che lo vorrebbe più svincolato dai Democratici e che, però, nel caso, potrebbe vedere ingrossarsi le sue fila.
E c’è anche chi arriva a insinuare che, il processo, oltre a prevedere la confluenza dei voti di Vendola e Nencini su Bersani in un eventuale secondo turno delle primarie, includerebbe un Nichi più lasco sulla non blindatura del secondo turno medesimo. Anche se lui continua a ripetere che lo vorrebbe il più aperto possibile. Uno scambio, insomma.
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