
23/12/10
Giorno/Resto/Nazione
La scorsa settimana, un deputato del Pdl assai attento a quel che si muove nel partito vaticinò: «Prevedo che a breve la Prestigiacomo si farà un bel pianto». Avendo il ministro fama d’essere donna di lacrima facile se investita da fuoco amico, era un modo per dire che si sarebbe dimessa. O avrebbe lasciato il partito. S’è dimessa (dal Pdl) ieri, e nel farlo naturalmente ha pianto, ma per tutt’altre ragioni. La scorsa settimana il motivo erano gli attriti con gli uomini campani di Cosentino sul dl rifiuti. Anche allora la Prestigiacomo votò un emendamento con le opposizioni e come capitò alla sua grande amica Mara Carfagna si scontrò col presidente (cosentiniano) della provincia di Salerno Cirielli e, al pari della Carfagna, fu subito impallinata dal deputato pidiellino Giancarlo Lehner, a Cirielli assai vicino: «Intelligenza politica e beltà non vanno sempre d’accordo». Delle due l’una: o Lehner ci vede lungo o ha il potere di far saltare i nervi alle ministre. Che i nervi di Stefania Prestigiacomo siano tesi è comunque cosa nota. Ma a scorrere la lista dei suoi nemici si può capire il perché. Nemica del ‘clan’ Cosentino per ragioni di termovalorizzatori; nemica di Tremonti (e dunque di Calderoli) per ragioni di bilancio; nemica della coppia Schifani Alfano per ragioni di collegio elettorale. Memorabile lo scontro col titolare dell’Economia durante il Consiglio dei ministri del 5 novembre. Tremonti, che già aveva tentato di sfilarle i poteri sulle politiche energetiche, gli aveva appena negato tre miliardi per il dissesto idrogeologico. Lei si impuntò («che figura facciamo col Paese?»), lui la prese per i fondelli («Se dopo vieni fuori ti spiego...»), lei si inferocì («la smetti di dire cretinate?»), lui si indignò: «Silvio, se questa non chiede scusa me ne vado». Berlusconi, sbalordito, le chiese con dolcezza di scusarsi. Lei lo fece. Ma secondo i dietrologi pagò il reato di lesa maestà tremontiana subito dopo: quando le commissioni Ambiente e Attività produttive della Camera bocciarono la nomina del suo capo di gabinetto all’Agenzia per la sicurezza nucleare. Fuoco amico, anche in quel caso. Come quello che nel 2005 portò alla bocciatura delle quote rosa. La Prestigiacomo era ministro delle Pari opportunità (staffetta poi passata alla Carfagna) e a palazzo Chigi inaugurò la stagione dei pianti, poi rinverdita in Trasatlantico. Si ritrovò quasi tutti i ministri contro, minacciò le dimissioni, Berlusconi cercò di placarla («Stefania, ti prego, non fare la bambina»), lei non si placò: «Non ti permetto di dire che faccio la bambina!». E giù lacrime. Sui giornali seguì dibattito: è bene che un ministro pianga? Inutile dire che buona parte delle parlamentari dell’allora FI sentenziò che no, è inammissibile. Tipica solidarietà femminile. Di cui si ebbe ulteriore prova quando circolò la voce di una sua relazione con Fini, complice il comune sentire sulla fecondazione assistita: anche allora erano le donne del partito le più generose propalatrici del gossip.
Quando poi, assieme a Frattini, Gelmini e Carfagna, ha costituito l’associazione Liberamente, nuove insofferenze si sono aggiunte alle vecchie essendo quella «corrente» accusata di intelligenza col nemico Fini e di fronda interna contro i coordinatori del Pdl. Sia quelli nazionali sia quelli siciliani. Perché è la Sicilia il terreno di battaglia della siracusana Prestigiacomo. La Sicilia dove lei fa asse con la coppia Micchiché-Lombardo contro la coppia Alfano-Schifani. Da cui la voce che, se anche dovesse rientrare nel Pdl, in caso di elezioni finirà comunque per divenire la testimonial del nuovo partito di Miccichè, Forza Sud. Un partito che in apparenza si oppone al premier, ma che, dato lo sfascio del Pdl, servirà a conquistare il premio di maggioranza al Senato nelle regioni meridionali.
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