
Forse non sarà una «guerra civile», come Berlusconi ha ieri minacciato in uno dei suoi più clamorosi e più calcolati accessi di collera. Ma una grave crisi istituzionale è possibile, e forse imminente. In poche settimane, infatti, il Cavaliere rischia una spoliazione del suo capitale personale e politico. Per quello personale, l’elenco è lungo: tra i soldi che gli chiede la moglie, i soldi che deve dare a De Benedetti, i soldi che gli servono per sistemare il turbolento asse ereditario, l’uomo più ricco d’Italia andrà incontro a un attacco senza precedenti alle sue sostanze. Ma questo sarebbe il meno. I pericoli veri vengono ancora una volta dai problemi giudiziari. Di Mills si sa, e si comincia anche a capire che il processo breve non lo farà sparire d’incanto. Primo, perché non è affatto detto che quel provvedimento arrivi fino in fondo; secondo, perché non è affatto detto che il Quirinale lo promulgherà; terzo, perché se anche il Parlamento lo riapprovasse per imporre a Napolitano la firma, prima o poi arriverà alla Consulta, che lo boccerà. Tant’è che si è già aperto un secondo forno, per così dire costituzionale, con Casini.
Quello che ancora non si sa è che cosa avverrà venerdì prossimo a Palermo, quando la più annunciata delle deposizioni dovrebbe ritirare in ballo il premier per la stagione oscura delle stragi del ’93, e per i suoi rapporti con un clan della mafia.
Accuse circostanziate e pronunciate in un’aula di giustizia, quasi inevitabilmente potrebbero provocare subito l’apertura formale di un’inchiesta sul premier, e per reati così è persino possibile - secondo alcuni - il sequestro preventivo del patrimonio. In ogni caso, per reati così, il leader politico di una nazione dell’Occidente non può restare in sella come se niente fosse. Per reati così, un qualsiasi provvedimento giudiziario potrebbe aprire quella crisi istituzionale di cui sopra. Il che fa riflettere sull’anomalo potere politico che in Italia hanno indubitabilmente le procure, ogni procura, e relativi pentiti; e fa riflettere anche sull’anomalia di un premier il cui passato sembra una miniera inesauribile di spunti per inchieste giudiziarie. Ma mentre il mondo politico si divide per stabilire quale dei due problemi è il peggiore, tutto intero si sta già chiedendo che cosa fare, nel caso.
Nel caso, la soluzione più probabile è un governo di salute pubblica, o di salvezza nazionale. Per quante roboanti dichiarazioni si facciano del genere « la parola torna al popolo » , per sciogliere un parlamento ci vuole una maggioranza disposta a scioglierlo che, per ora, non sembra esserci. E se non ci sarà, ci sarà dell’altro. Fini? Può dare un avallo istituzionale, ma non potrebbe essere lui l’uomo che traghetta il centrodestra fuori dal berlusconismo, non dopo aver combattuto con questa determinazione il berlusconismo, mettendosene praticamente fuori. Tremonti? Più probabile. Ha ottimi rapporti con la Lega e, se guardate bene, vedrete che il Pd lo ha di fatto aiutato mentre mezzo governo lo attaccava: se lo tiene buono per l’ora X.
Questa è la posta della partita che si sta per giocare. Berlusconi lo sa benissimo, e per questo evoca, e poi smentisce, la « guerra civile » . Vuole un’immunità e la vuole subito e la vuole certa. Chi « non si adegua » a questo bisogno primario, che è la ragione sociale del Pdl, è fuori dal Pdl. Neanche una minoranza è ammessa, quando si combatte per la vita o per la morte. Dal suo punto di vista, si capisce perfettamente perché ha rotto il silenzio nel modo ultimativo e apocalittico in cui l’ha fatto ieri. La domanda è: ce la farà? Per la prima volta in questa legislatura, i bookmakers potrebbero accettare scommesse. Finora anche la sola domanda era inammissibile. Da venerdì prossimo, dopo che avrà parlato il pentito Spatuzza, non lo sarà più.
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