
23/09/11
da La Repubblica
L'annus horribilis continua inesorabile: e monotono in casa berlusconiana. La manovra imposta dall'Ue (quarta versione) riscuoteva segnali positivi dal mercato, mercoledì 7 settembre, sebbene vi manchino novità strutturali, ma niente garantisce che siamo fuori della tempesta: l'Italia è la più debole tra i soci importanti, malata contagiosa, da tenere d'occhio; nelle previsioni d'una stentata crescita viene ultima, col miserrimo 0.50%. Era disceso dalle nuvole, soi-disant imprenditore geniale: qualunque cosa tocchi, diventa oro; e s'impegna al miracolo economico, firmando il contratto nel salotto televisivo; sono il suo forte le pantomime da fiera.
Corre l'undicesimo anno dell'era berlusconiana, meno i due d'uno spettrale intervallo centrosinistro: le Camere gli ubbidivano (mai viste maggioranze simili); gli avversari stavano a testa china, cappello in mano. Ogni tanto brandiva l'arma plebiscitaria, sicuro d'avere due elettori su tre dalla sua. Il collasso sbalordisce e non incolpi stelle nefaste o prose nemiche. Se lo combina da solo, disincantando le platee: inetto, ciarlatano, abile solo nell'arricchirsi, enorme parassita, spende il tempo politico in frodi legislative intese all'impunità; le finanze vanno a picco e lui manda una lettera autografa alla Camera affinché vieti l'uso del materiale fonico sulle serate postribolari d'Arcore (bel delirio d'onnipotenza, in spregio alla procedura penale). Nella terribile crisi planetaria non muoveva dito, intento ai loschi affari suoi. Costituito in mora dall'Ue, giocava carte false.
Almeno non strepitasse vantandosi salvatore del Paese contro toghe rosse e mercati, mentre indagini svelate dalla sua stampa aprono scenari dove figura molto male, sotto possibile ricatto da chi gli portava demoiselles a pagamento: nega d'essere parte lesa e racconta d'avere soccorso dei bisognosi (pratica una carità molto particolare, verso lenoni, traviate rampanti, malaffaristi), senza sospettare l'effetto ilare nel pubblico; è una campana sorda in materia autocritica. Varie voci lo qualificano falso testimone: stavolta non rischia condanne perché nemo tenetur turpitudinem suam detegere; ammettendo d'essere ricattabile patirebbe nell'onore (art. 384 c. p.), ammesso che quest'eterea entità gli prema; mille volte l'abbiamo visto insensibile alla vergogna, germe dell'etica. Ai bei tempi spacciava favole sguaiate trovando larga audience: adesso fredde occhiate misurano parole, smorfie, maschere, gesti; mala tempora, gli converrebbe stare quatto. Intanto qualcosa sta muovendosi nel clero Pdl. Mercoledì 7 settembre l'autorevole ex ministro Beppe Pisanu (tra i fondatori del partito-chiesa) gli consigliava d'uscire in punta di piedi: ancora poche settimane fa sarebbe stato impensabile; e i molossi contraddicono a mezza voce, notando come manchino i presupposti del governo a larghe intese; sfiduciato o dimesso B., andiamo al voto. Tutto lì: persistendo l'antica fedeltà (pro tempore, beninteso; nessuno arrischia un capello nel servizio disinteressato), il traditore finirebbe alla gogna; invece ne parlano signorilmente. Sintomo infausto.
Lui non vuol andarsene, ovvio: le dimissioni ripugnano all'Ego tirannico; sarebbe catastrofe psichica nonché politica, irrimediabile, non essendo presumibile la seconda vita d'un perdente prossimo agli ottanta più che ai settanta; non parliamo delle ripercussioni nel fiabesco patrimonio; e i maledetti processi? S'era giocato tutto, quasi una roulette russa. Fallisce l'assurdo tentativo del decreto urgente che lo salvi dai dialoghi intercettati (14 settembre). Gli sgherri meno presentabili, senza futuro fuori del serraglio, chiedono decisioni estreme, sbarrano gli occhi, battono pugni sul tavolo, urlano ma è schiuma da poco. I cauti scoprono lembi d'anima finalmente moderata, nella logica del salvare il salvabile.
Ormai basta una spinta. Supponiamo che lo spread con i titoli tedeschi resti agli allarmanti livelli attuali o addirittura salga, nonostante l'onerosa manovra, mentre Berlusco illo tempore felix, in fuga dai pubblici ministeri, affonda tra scandali e affari penali; il senso sarebbe chiaro: l'Italia rimane sotto tiro finché sia identificabile nel malfamato. A quel punto le Camere voteranno: merita ancora fiducia?; e presumiamo vari giudiziosi «no» nelle sue file. Troppe cose sono cambiate dall'Avvento 2010, quando pochi voti venali gli evitavano una débàcle, ma concessa l'improbabile risposta positiva, la legislatura ha le settimane contate; tempi calamitosi richiedono governi seri. Sul responso elettorale esistono pochi dubbi. E peso morto l'allora invincibile agonista e nell'attuale partito tirano arie discordi: era compagnia di ventura nel culto del padrone; caduto o svilito il quale, ai postberlusconiani resta la via della destra senza collare delineata dai futuristi. Sull'altra sponda anche i sinora interessati alla mistica del Capo sanno che handicap sia trascinarselo logoro, perdente, ormai molesto. L'ideale sarebbe un partito del «Caro Estinto», fabulous man, con tutti gli assets (reti televisive, giornali, editoria, capitali), sotto la guida della bellicosa figliola, i cui carismi cantava uno che s'è votato alla Casa d'Arcore, sotto cimiero, barbuta, cotta, relatore dell'insigne ddl sul processo cosiddetto breve. Quest'Ordine dei credenti, che ubbidiscono e combattono, batte bandiera Mediaset. Vi figurano colonnelli post Msi, l'onniloquo capogruppo veterano piduista, lo speaker già radicale, il ministro social cattolico, declamatore gesticolante dell'historiette osée su cinquanta monache violate, meno l'unica riluttante, e quanti messeri.
Speculavamo su dei futuribili. Lo scherzo prognostico è anche augurio. Chiudiamolo nello stile lieve d'Esopo, Fedro, La Fontaine, Leopardi fabulante (non Orwell: nel finale tragico d'Animal Farm niente distingue più i maiali dall'uomo). La rana s'era gonfiata a dismisura: gli animali l'adoravano, finché cade il velo; vedono quanto sia brutta e li svanisce la batracomonarchia. Provvedano le Parche, se hanno a cuore le sorti d'Italia.
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