
Dalla Fiat della crisi, alla Fiat che viaggia verso i sei milioni di auto all’anno e il controllo della Chrysler. Dalla Fiat di Montezemolo alla Fiat di John Elkann, con Sergio Marchionne come timoniere unico. Con l’annuncio di ieri, e ancor più con il piano strategico che verrà presentato oggi, si chiude un’era per il Lingotto e se ne apre una nuova. «Quelli dal 2004 a oggi sono stati sei anni importantissimi per l’azienda» ha detto ieri Luca Cordero di Montezemolo. «Ora il mio ruolo di traghettatore si deve considerare terminato» ha poi aggiunto Montezemolo, sfogliando di fatto la nuova pagina della storia Fiat.
Cosa ci sarà scritto lo si capirà oggi nelle sei ore cruciali dell’investor day che, com’è facile prevedere, non saranno dedicate al semplice annuncio di un programma. Montezemolo ha negato che lo spin off, ovvero lo scorporo delle attività automobilistiche e la loro quotazione in Borsa, sia legato all’avvicendamento ai vertici del gruppo. E’ però evidente che il progetto ridisegnerà la Fiat e i suoi obiettivi in Italia e nel mondo. Un cambio di pelle che inizia con l’azienda presieduta da John Elkann. Nella tarda primavera del 2004 il Lingotto navigava nelle acque agitate della peggiore crisi della sua esistenza ultracentenaria e usciva da un biennio drammatico durante il quale aveva perduto due leader: Gianni e Umberto Agnelli. «Oggi quelle due pesanti condizioni non ci sono più, la Fiat non è più un’azienda sull’orlo della bancarotta e alla sua presidenza c’è un esponente della famiglia» ha detto Montezemolo.
La continuità della famiglia è dunque garantita dal più giovane presidente della storia Fiat. Ma va guardata anche attraverso il ruolo di Sergio Marchionne. John Elkann ha respinto l’ipotesi di un ingresso del manager nell’Accomandita, ovvero nella società con la quale, attraverso Exor, gli eredi Agnelli controllano la Fiat: dunque l’ad del Lingotto al momento rimane nel suo ruolo di manager, artefice della strategia anti-crisi ieri e che ora guida di un rilancio che porterà l’azienda verso mercati e dimensioni mai sperimentati in passato. Da quando si è liberato della sfortunata alleanza con General Motors e del capestro del prestito convertendo delle banche italiane, Marchionne ha sempre lavorato per una Fiat che non fosse neppure lontanamente la copia di quella finita nella bufera dell’inizio di questo decennio. Ecco perché gli analisti e gli esperti, anche se formalmente Marchionne sembra oggi destinato a conservare l’attuale incarico, continuano in realtà a ipotizzare per lui un ruolo che, in prospettiva, difficilmente resterà quello degli ultimi sei anni. Una modificazione di sostanza che Marchionne attuerà, presumibilmente, nel contesto della progressiva realizzazione del piano strategico. Con ciò rimandando altre eventuali scosse di assestamento al 2014.
Peraltro, è da escludere che Marchionne abbia messo a punto il nuovo piano senza aver consultato passo passo la famiglia Agnelli e il giovane neo-presidente che negli ultimi anni è stato sempre più legato a lui. Resta però da scoprire quale Fiat governerà Marchionne per conto degli Agnelli e quanto la famiglia possa essere interessata a un’azienda che conservi l’auto come core business. Ufficialmente John Elkann, e con lui Sergio Marchionne, hanno ripetuto negli ultimi mesi che la Fiat resterà fortemente radicata a Torino e in Italia: «Il mio sogno è una Fiat internazionale ma con il cuore a Torino» ha detto di recente il neopresidente. Ma quanti all’interno della famiglia la pensano esattamente come lui? Il recente annuncio dell’uscita di Gian Luigi Gabetti dall’universo finanziario della Fiat e degli Agnelli, ha dato nuovo fiato alle indiscrezioni secondo le quali non tutti gli esponenti della famiglia sarebbero favorevoli a continuare l’avventura industriale storic adel Lingotto. Ma è probabile che questo dissenso sia legato più alla concentrazione di poteri nelle mani di John Elkann che alle strategie internazionali disegnate in questi mesi insieme a Sergio Marchionne.
Da quando ha chiuso il capitolo della crisi aziendale, l’ad del Lingotto ha sempre lavorato, anche attraverso accordi e alleanze in vari paesi, alla costruzione di un gruppo i cui destini industriali non fossero circoscritti a un perimetro domestico ma comprendessero più di ieri sia i mercati dei paesi emergenti sia quelli maturi come quello Usa. Una strategia destinata inevitabilmente a cambiare la fisionomia del gruppo di Torino. Non accadrà domani e neppure nei prossimi mesi, ma non sarebbe sorprendente che in un futuro non lontano prendesse corpo una "Fiat due" tutta orientata verso le attività automotoristiche. E soltanto allora si capirà definitivamente quale sarà il ruolo di Marchionne e quali saranno le reali intenzioni degli eredi dell’Avvocato.
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