
10/05/10
la Repubblica
Con fatica e sofferenza l’Europa si prepara ad affrontare oggi l’atteso assalto dei mercati contro l’euro con un accordo che potrebbe rivoluzionare la natura stessa della moneta unica.
I ministri delle finanze riuniti ieri a Bruxelles hanno predisposto un gigantesco ombrello a protezione dei Paesi più deboli dell’Unione monetaria costituito da un fondo di seicento miliardi: sessanta messi a disposizione dalla Commissione come prestito europeo, quattrocentoquaranta forniti su base bilaterale dai membri dell’eurozona, e cento finanziati dal Fondo monetario internazionale. I primi a beneficiarne potrebbero essere Spagna e Portogallo, i due Paesi più esposti agli attacchi della speculazione dopo la Grecia, a cui i governi europei hanno già chiesto una serie di misure di risanamento aggiuntive.
Dopo una lunga e accanita discussione, ha prevalso l’idea di estendere agli altri membri della zona euro il modello di salvataggio già sperimentato per la Grecia. La Commissione aveva proposto una soluzione diversa e molto più ambiziosa: un europrestito, garantito dai fondi del bilancio comunitario e in ultima istanza da tutti gli stati membri dell’Unione monetaria.
Ma questa strada, che di fatto avrebbe anche formalmente posto fine al principio della sovranità nazionale sui bilanci pubblici, è stata bocciata dalla resistenza della Germania, spalleggiata dall’Olanda. Il principio della sovranità di bilancio, che ha presieduto al varo dell’euro e del Patto di Stabilità, è considerato inviolabile dai tedeschi. E la Merkel, uscita sconfitta proprio ieri dalle elezioni locali, teme che comunque la Corte costituzionale di Karlsruhe non consentirebbe al governo federale una così ampia cessione di sovranità.
Per questo motivo Berlino ha lanciato in serata una contro-proposta: un enorme pacchetto di finanziamenti per 500 miliardi di euro, ma da gestire, come già si è fatto con la Grecia, su base bilaterale e con la collaborazione del Fondo Monetario Internazionale. Non a caso, per tutta la giornata di ieri Angela Merkel è stata in stretto contatto con il presidente americano Barak Obama, che è l’altro «grande azionista» del Fondo monetario internazionale.
Alla fine, la presidenza spagnola ha redatto una soluzione di compromesso: mantenere il criterio dei prestiti bilaterali già utilizzato per la Grecia, ma alzare l’ammontare del fondo a 600 miliardi includendovi i finanziamenti che possono venire dalla Commissione e dal Fondo monetario internazionale.
Naturalmente, come è già avvenuto con la Grecia, questi aiuti non saranno dati senza contropartita. I paesi che faranno ricorso al fondo europeo, dovranno accettare una serie di condizioni imposte alle loro politiche di bilancio e anche alle loro politiche economiche.
Già ieri Madrid e Lisbona, che saranno verosimilmente le prime a dover attingere alla nuova linea di credito, si sono viste richiedere una manovra aggiuntiva per quest’anno pari all’1,5 per cento del Pil. E una seconda manovra per il 2011 pari a due punti percentuali. Resta da vedere se i mercati si lasceranno dissuadere dalla creazione di questo nuovo fondo di emergenza. O se invece non interpreteranno questa disperata mossa dei governi come un ulteriore sfida per saggiare fino a dove arrivino le reali capacità di difesa dell’Unione monetaria. Resta anche da capire come faranno i governi della zona euro a reperire, nei bilanci nazionali già sacrificati dalla crisi, i soldi per finanziare il nuovo mega-fondo europeo.
E’ un fatto che, arrivata al momento della verità, l’Europa non ha avuto il coraggio di varcare il Rubicone che separa l’unione monetaria dall’unione economica e, in definitiva, dall’unione politica. Almeno da un punto vista formale, infatti, la soluzione adottata, salvaguarda il principio che ogni Paese è responsabile per il proprio bilancio e per il proprio debito. Ma, nel momento in cui scommette cinquecento miliardi sul proprio impegno a non permettere il fallimento di nessun Paese della zona euro, di fatto l’Unione monetaria si impegna in una partita di solidarietà che inevitabilmente mette tutti i bilanci nazionali sulla stessa barca. Se gli attacchi speculativi dovessero continuare, è difficile immaginare infatti che i governi, dopo aver gettato cinquecento miliardi, si possano tirare indietro e abbandonare la fortezza dell’euro già difesa a così caro prezzo.
I ministri delle finanze riuniti ieri a Bruxelles hanno predisposto un gigantesco ombrello a protezione dei Paesi più deboli dell’Unione monetaria costituito da un fondo di seicento miliardi: sessanta messi a disposizione dalla Commissione come prestito europeo, quattrocentoquaranta forniti su base bilaterale dai membri dell’eurozona, e cento finanziati dal Fondo monetario internazionale. I primi a beneficiarne potrebbero essere Spagna e Portogallo, i due Paesi più esposti agli attacchi della speculazione dopo la Grecia, a cui i governi europei hanno già chiesto una serie di misure di risanamento aggiuntive.
Dopo una lunga e accanita discussione, ha prevalso l’idea di estendere agli altri membri della zona euro il modello di salvataggio già sperimentato per la Grecia. La Commissione aveva proposto una soluzione diversa e molto più ambiziosa: un europrestito, garantito dai fondi del bilancio comunitario e in ultima istanza da tutti gli stati membri dell’Unione monetaria.
Ma questa strada, che di fatto avrebbe anche formalmente posto fine al principio della sovranità nazionale sui bilanci pubblici, è stata bocciata dalla resistenza della Germania, spalleggiata dall’Olanda. Il principio della sovranità di bilancio, che ha presieduto al varo dell’euro e del Patto di Stabilità, è considerato inviolabile dai tedeschi. E la Merkel, uscita sconfitta proprio ieri dalle elezioni locali, teme che comunque la Corte costituzionale di Karlsruhe non consentirebbe al governo federale una così ampia cessione di sovranità.
Per questo motivo Berlino ha lanciato in serata una contro-proposta: un enorme pacchetto di finanziamenti per 500 miliardi di euro, ma da gestire, come già si è fatto con la Grecia, su base bilaterale e con la collaborazione del Fondo Monetario Internazionale. Non a caso, per tutta la giornata di ieri Angela Merkel è stata in stretto contatto con il presidente americano Barak Obama, che è l’altro «grande azionista» del Fondo monetario internazionale.
Alla fine, la presidenza spagnola ha redatto una soluzione di compromesso: mantenere il criterio dei prestiti bilaterali già utilizzato per la Grecia, ma alzare l’ammontare del fondo a 600 miliardi includendovi i finanziamenti che possono venire dalla Commissione e dal Fondo monetario internazionale.
Naturalmente, come è già avvenuto con la Grecia, questi aiuti non saranno dati senza contropartita. I paesi che faranno ricorso al fondo europeo, dovranno accettare una serie di condizioni imposte alle loro politiche di bilancio e anche alle loro politiche economiche.
Già ieri Madrid e Lisbona, che saranno verosimilmente le prime a dover attingere alla nuova linea di credito, si sono viste richiedere una manovra aggiuntiva per quest’anno pari all’1,5 per cento del Pil. E una seconda manovra per il 2011 pari a due punti percentuali. Resta da vedere se i mercati si lasceranno dissuadere dalla creazione di questo nuovo fondo di emergenza. O se invece non interpreteranno questa disperata mossa dei governi come un ulteriore sfida per saggiare fino a dove arrivino le reali capacità di difesa dell’Unione monetaria. Resta anche da capire come faranno i governi della zona euro a reperire, nei bilanci nazionali già sacrificati dalla crisi, i soldi per finanziare il nuovo mega-fondo europeo.
E’ un fatto che, arrivata al momento della verità, l’Europa non ha avuto il coraggio di varcare il Rubicone che separa l’unione monetaria dall’unione economica e, in definitiva, dall’unione politica. Almeno da un punto vista formale, infatti, la soluzione adottata, salvaguarda il principio che ogni Paese è responsabile per il proprio bilancio e per il proprio debito. Ma, nel momento in cui scommette cinquecento miliardi sul proprio impegno a non permettere il fallimento di nessun Paese della zona euro, di fatto l’Unione monetaria si impegna in una partita di solidarietà che inevitabilmente mette tutti i bilanci nazionali sulla stessa barca. Se gli attacchi speculativi dovessero continuare, è difficile immaginare infatti che i governi, dopo aver gettato cinquecento miliardi, si possano tirare indietro e abbandonare la fortezza dell’euro già difesa a così caro prezzo.
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