
Il caso Stamina continua far parlare di sé. E se in Europa è abbastanza chiaro che non si tratta di una cura sufficientemente provata a livello scientifico per essere utilizzata sui pazienti, in Italia ci sono ancora tribunali che, in attesa di nuove disposizioni legislative, decretano sull’utilizzo della fantomatica cura. Andando per ordine. Ieri mattina la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha stabilito che la decisione delle autorità italiane di rifiutare l’accesso al metodo Stamina a una donna, affetta sin dall’adolescenza da una malattia degenerativa del cervello, non ha leso i suoi diritti.
«A oggi - hanno osservato i giudici - il valore terapeutico del metodo Stamina non è stato provato scientificamente» e il decreto del marzo 2013, che regola l’accesso al metodo Stamina e stabilisce che alla presunta cura possono avere accesso solo i pazienti che l’hanno iniziata prima dell’entrata in vigore della nuova legge, «persegue il giusto obiettivo di proteggere la salute dei cittadini». Ma mentre ieri i giudici di Strasburgo rigettavano la richiesta, contemporaneamente il tribunale di Ragusa ha imposto il metodo Stamina nei confronti di una bambina di Modica di due anni e otto mesi, affetta dal morbo di Niemann Pick.
Il giudice del lavoro Gaetano Di Martino ha accolto il ricorso dei genitori e dato cinque giorni di tempo agli Spedali Civili di Brescia di trovare un medico che possa applicare alla piccola la cura Vannoni. Ed è proprio questo che nel ricorso preso in esame dalla Corte europea e presentato da Nivio Durisotto si sostiene: si dice che la decisione presa dal tribunale di Udine di rifiutare alla figlia M.D. l’accesso al metodo Stamina ha leso il suo diritto alla vita e quello al rispetto della vita privata, proprio perché in altri casi simili a quello di sua figlia i tribunali hanno autorizzato l’uso di questa terapia.
Ma i giudici della Corte europea dei diritti umani non hanno sposato la sua tesi e hanno invece stabilito che le autorità italiane non hanno leso alcun diritto della donna. I giudici di Strasburgo ritengono che nel rifiutare l’accesso al metodo stamina il tribunale di Udine abbia «dato ragioni sufficienti» e che la decisione non è stata «arbitraria». «La sentenza di Strasburgo ci aiuta a fare chiarezza perché finalmente si scinde l’inevitabilità della cura dalla richiesta del paziente», ha detto il Presidente della Commissione Sanità del Senato Emilia Grazia De Biasi.
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