
10/01/11
Il sole 24 ore
Questa Corte ha costantemente affermato che il principio di leale collaborazione deve presiedere a tutti i rapporti che intercorrono tra Stato e Regioni» (Corte costituzionale, sentenza 31 del 2006). Leggendo la deliberazione 26/2010/G della sezione generale di controllo della Corte dei conti (su cui si veda Il Sole 24 Ore del 31 dicembre), è difficile non pensare che, al contrario, la leale collaborazione esca fatta a pezzi quando il più forte, lo stato, non paga quanto dovuto, ormai da anni, agli enti locali. Non si parla di spiccioli, bensì di 3,114miliardi di euro, di spettanza di un drappello di circa 200 tra comuni e province, che non vengono versati senza motivo giuridicamente valido.
La spiegazione, tutta contabile, ha dell’incredibile. Nel periodo 1997-2002 (oggetto dell’indagine della Corte dei conti) la norma scelse di privilegiare nelle erogazioni gli enti con minori disponibilità di cassa. Dopo due anni, però, i crediti vantati dagli enti locali sono stati considerati "perenti" e quindi cancellati dal bilancio dello stato. Lo stato, insomma, ha radiato dalla sua contabilità questi debiti (denaro dovuto a tutti gli effetti) e da allora non ha più sborsato un euro o quasi. Solo dietro sollecitazione della Corte dei conti (delibera 2/20l0/G), infatti, è stato reinserito nel bilancio qualcosa, poco meno di 250 milioni. Con questo ritmo, però, la partita si salderà non prima del 2022 (e solo nel 2056 la questione verrà del tutto risolta).
Tra i 200 enti in attesa, alcuni sono pesantemente indebitati e in cronica difficoltà. Una assurdità, che produce effetti dannosi a cascata. E stupisce il silenzio, rotto solo dalla Corte dei conti. Altrettanto imperdonabile è che di tutto ciò continui a non esserci traccia nei conti dello stato. Si tratta di un debito fuori bilancio, noto ed evidente ma che si continua di fatto a ignorare, destinandovi una cifra irrisoria, con buona pace della trasparenza e della veridicità dei conti.
Da qui una sollecitazione del massimo organismo contabile: davvero in una situazione come quella attuale, dove le lacune nel processo di redazione del bilancio e del rendiconto paiono evidenti, ci possiamo permettere un bilancio di cassa come quello che la riforma della contabilità pubblica (legge 196/2009) ha ritenuto di assegnare allo stato? La corte sottolinea infatti i rischi di un sistema che si fondi solo sui vincoli di cassa, e che consenta perciò di ignorare (sul piano contabile, perché su quello sostanziale prima o poi i nodi vengono al pettine) le ragioni e i diritti dei creditori.
Al contrario, avremmo bisogno di un sistema di bilancio dove, magari a fianco del dato di cassa (o finanziario, come prevede la legge 196/2009 per tutte le Pa, a eccezione proprio della più importante, lo stato), si desse prevalenza a una solida applicazione del principio della competenza economica, arrivando così anche a una puntuale misurazione del debito, dell’attivo e del patrimonio netto.
O si pensa di combattere il debito pubblico ignorandone la vera entità? E può un paese, istituzionalmente articolato come è ed ancor più diventerà, affidarsi ai soli dati statistici per il governo della spesa? Il parlamento che a voto quasi unanime ha votato la legge di contabilità pubblica - dovrebbe riflettere sulla bizzarria di un sistema immaginato come rigoroso per tutti tranne che per lo stato.
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