
21/03/11
Corriere della Sera
«Parliamoci chiaro: i raid francesi e i cruise americani sono anche un colpo mortale alla nostra diplomazia commerciale e a un pezzo della politica estera del Cavaliere. È inutile che ci giriamo intorno: ci sono i civili da difendere, c'è la risoluzione dell'Onu, ma c'è anche tanto altro, in primo luogo petrolio e gas, e molti contratti vantaggiosi da stipulare in futuro...».
Nello staff e fra gli amici del Cavaliere, così come fra i membri del Pdl più autorevoli delle commissioni Difesa di Camera e Senato, si fanno questi ragionamenti. C'è persino chi dice che «il signor Sarkozy, quello che disperatamente ha cercato di ottenere il comando delle operazioni, e che rema contro il coordinamento Nato, ha già dei nomi per il dopo Gheddafi, d'intesa con gli americani».
Argomenti che si riflettono nell'umore del Capo, chiuso ad Arcore, in disparte nel palcoscenico che la Coalizione dei volenterosi ha allestito, consapevole che non aveva altra scelta che affiancare l'Italia ai piani di Stati Uniti, Francia e Inghilterra, ma che si tratta di una scelta che avrebbe preferito evitare, anche perché destinata a smontare (al netto del pericolo migratorio) una fetta consistente della sua politica internazionale.
Il ministro Rotondi rimarca che il premier «ha tenuto, in una situazione delicata, una posizione equilibrata e responsabile», ma che tanto equilibrio costi non poco è lo stesso premier a riconoscerlo, nelle sue conversazioni private. Ha un umore nero, ma ammette di esser costretto a incassare con il sorriso sulle labbra decisioni che ha subito, con ricadute in grado di danneggiare i nostri interessi geopolitici.
Ancora due pomeriggi fa, del resto, al termine del vertice di Parigi, dissimulava la frustrazione esternando la speranza che lo schieramento militare avesse per il Colonnello libico funzioni deterrenti in grado di evitare un massiccio attacco degli alleati. Peccato che mentre conversava con la stampa, all'Eliseo e alla Casa Bianca erano già nella fase operativa della prima offensiva.
Le agenzie di stampa ieri erano piene di commenti fortemente critici, targati Pdl, all'indirizzo di Parigi. Più di 40 parlamentari hanno sottoscritto un documento di contrarietà all'intervento armato. Mentre il sottosegretario alla Difesa, Guido Crosetto, parlando a titolo personale, ha definito «eccessivo» l'atteggiamento di Sarkozy, legando il giudizio al rispetto dovuto per un popolo e un Paese che fornisce una quota consistente di gas e petrolio all'Italia.
E c'è almeno un altro motivo se Berlusconi vive queste ore con grande preoccupazione: non solo un pezzo della sua politica internazionale è stato oggettivamente distrutto, più o meno dolosamente, ma non sono ancora chiari e definibili gli orizzonti futuri. «Se i piani di Parigi e Londra non andassero in porto ci troveremmo con una nuova Somalia nel cortile di casa, eventualità catastrofica che avrebbe ricadute sulle nostre coste e sui nostri pregressi rapporti commerciali», non si nascondono a Palazzo Chigi.
Per questi motivi oggi il premier si trova nell'indesiderata e paradossale posizione di dover sperare nel successo pieno, sino alla destituzione di Gheddafl, di un'operazione che vive anche nel ruolo di vittima. Per questi motivi Frattini, mentre avverte Parigi che la risoluzione dell'Onu non prevede una guerra contro il regime libico, parla anche apertamente di «rovesciamento» del Colonnello.
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