
Uno studente iraniano ventenne potrebbe essere impiccato da un momento all'altro per via di alcune fotografie. Durante la dimostrazione contro il regime di Teheran del 27 dicembre, giorno sacro dell'Ashura per gli sciiti, Mohammad Amin Valian fu ripreso mentre lanciava pietre. E' sulla base di quegli scatti che ieri una corte iraniana lo ha ritenuto colpevole di essere "mohareb" confermando in appello la sua condanna a morte. "Mohareb", nel lessico della sharia, indica i "nemici di Dio", coloro che muovono guerra contro Allah e perciò meritano la morte. Non è la prima volta che il regime iraniano impugna lo stendardo della religione contro i suoi oppositori: a gennaio con la stessa incriminazione impiccò altri due ventenni accusati di militare in un gruppo monarchico e condannò a morte nove manifestanti che ora attendono la sentenza d'appello. Valian fa parte dell'Associazione degli studenti islamici dell'Università di Damghan e ha partecipato alla campagna presidenziale di Mir Hossein Moussavi, uscito sconfitto dalle contestate elezioni. «E' stato accusato di essere mohareb, che è la più grave incriminazione in Iran. Ma quel che ha fatto questo ragazzo, un brillante studente attivo politicamente - ha detto il portavoce della Campagna internazionale per i diritti umani in Iran, Aaron Rhodes - è stato
prendere parte a manifestazioni ed essere fotografato mentre lanciava pietre». Non abbastanza, insistono in tanti, per una condanna così grave. Richiami che però cadono nel vuoto, come pure quelli sul programma nucleare, tanto che sempre ieri gli Usa e l'Ue si sono detti favorevoli a nuove sanzioni «se l'Iran continuerà a non cooperare». Contrario invece il Brasile, uno dei 10 membri del Consiglio di sicurezza dell'Onu senza diritto diveto: «Non è prudente mettere Teheran con le spalle al muro», ha detto il presidente Lula da Silva alla Clinton in visita nel Paese.
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