
Il "secol breve" si è concluso portandosi via, in primo luogo, le macerie dei grandi totalitarismi ideologici, dal fascismo al comunismo e al nazismo. Oggi è facile condannare quelle vicende, non troveremmo (quasi) più nessuno che ne difenda l'eredità o le superstiti tracce se non fosse che loro residui e scorie li intravediamo filtrare dí sotto le bandiere e gli slogan agitati dalle folle degli indignados. Nelle piazze, costoro esibiscono un individualismo formalmente anarchizzante, ma spesso appaiono recettivi verso forme di arcaico e settario dispotismo. Soddisfatti, contempliamo le rovine fumanti. Ci sentiamo purificati. Però, nella critica di Hobsbawm, il secol breve è responsabile di successive vicende, anch'esse finite più o meno felicemente nel frullatore della storia. Il postmoderno che ha sostituito la linearità del movimento progressista non ha finora mantenuto le promesse sciorinate: per Hobsbawm, "non ha saputo gestire o migliorare la condizione del genere umano". Forse è vero, la democrazia postbellica non è stata adeguata ai suoi compiti e aspirazioni. Presa nell'illusione che la caduta dei totalitarismi avrebbe determinato la fine della storia, al collaudo dei fatti non ha saputo ben controllare le energie che aveva sprigionato; è, inoltre, in ritirata più o meno in tutti i paesi del medio oriente dove si era presentata con tutti i parafernalia di cui è storicamente ricca.
Insomma, la democrazia ha visto cadere i totalitarismi, ma non si è affermata compiutamente - forse nemmeno in occidente - né sembra poterlo essere nei prossimi tempi, con la facilità preconizzata da Fukuyama: la storia non è finita, e anzi il futuro dell'umanità è alquanto incerto. Su questa problematica la chiesa si è mossa variamente, senza infingimenti o scrupoli. Ha dato più dí un avallo alle dittature novecentesche, distinguendosene e condannandole in astratte e caute prese di posizione, filtrate nel linguaggio e difficilmente raggiungibili. Per dirla, fu anticomunista più che antitotalitaria. Al suo interno movimenti, forze e singoli opposero certamente resistenza a quei regimi, svolgendo un lavoro sotterraneo di delegittimazione: ma una cosa ci sembra che la chiesa non abbia mai fatto, e cioè allearsi esplicitamente con le resistenze democratiche presenti in alcune aree civili e private, ma anche statuali.
La chiesa condannò insieme i totalitarismi e il liberalismo, visto anzi come il padre responsabile delle degenerazioni autoritarie. Oggi, le istituzioni liberaldemocratiche hanno un appoggio formale da parte della chiesa, che però non fa mistero di volerne erodere le fondamenta ideali, a partire da quel relativismo che per essa è male supremo. Per la chiesa, il relativismo che sorregge il sistema democratico è solo una variante del nichilismo. Non vuole accettare che, se capito a fondo, il relativismo delle democrazie è l'antitesi del nichilismo e del progressismo meccanicistico e darwiniano otto/protonovecentesco. Incuneandosi nelle debolezze delle democrazie, la chiesa pretende di limitarne i diritti e di imporre loro la camicia di forza dei suoi principi non negoziabili. Principi non negoziabili vennero, certamente, invocati anche sotto e contro i totalitarismi (si pensi all'eugenetica), ma in forme più che altro catacombali. La chiesa cattolica non ha mai negato che le sue massime autorità, di fronte alle nefandezze totalitarie, hanno ritenuto di dover tacere per non provocare danni maggiori, con un calcolo che ha acquistato un sapore opportunistico anche quando non lo era.
Oggi, con molta disinvoltura, consapevole che, nella loro debolezza strutturale, le odierne democrazie non riescono spesso a opporlesi, la chiesa picchia invece duro, fa il volto dell'intransigenza assoluta, e cerca di imporre i suoi valori mettendo ulteriormente in difficoltà istituzioni già di per sé affaticate. Fingendo peraltro di non vedere che anch'essa è in difficoltà, che il suo messaggio non ha più l'appeal di un' tempo. Insomma: dei problemi del secol breve anche la chiesa ha qualche responsabilità.
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