
Un commento di Sergio Soave nei giorni scorsi su Avvenire esprimeva riserve nei confronti di Emma Bonino, candidata in pectore del centrosinistra per la regione Lazio, sulla quale si è espressa favorevolmente la componente “popolare” che ha in Franco Marini il punto di riferimento più autorevole.
Il giornale dei vescovi italiani chiama in causa proprio l’ex presidente del senato, perché il suo richiamo a Luigi Sturzo come antesignano di una politica laica e aconfessionale – attenta alla centralità del programma nella costruzione di una prospettiva di governo – suscita perplessità e quindi un’obiezione di fondo. In verità, poco convincente.
Secondo Soave il rinvio al magistero del sacerdote siciliano non regge, perché la coerenza e la fermezza che hanno sempre accompagnato il percorso di questa eminente figura del cattolicesimo politico non vengono meno neppure nella impostazione delle battaglie di ordine amministrativo locale. «Per la verità – si legge nell’articolo – era un voto amministrativo anche quello che spinse Sturzo, sessant’anni fa, a ideare una nota operazione, persino in contrasto con Alcide De Gasperi, per evitare il rischio di una vittoria laicista in Campidoglio». Se questo è l’argomento, allora non ci siamo davvero: generazioni di democratici cristiani hanno ammirato il coraggio e la lucidità di De Gasperi in quel frangente. E fu un esempio di saggezza arginare una manovra scomposta, che per altro, con la cosiddetta “Operazione Sturzo”, non intendeva arrestare un generico pericolo laicista, quanto il possibile successo dei comunisti e dei loro alleati.
L’esempio, insomma, è fuori misura. Come pure sembrò fuori misura la rivendicazione di laicità, sulla scorta della lezione degasperiana, che nella passata legislatura un gruppo di parlamentari di orientamento cattolico democratico portò a difesa del disegno di legge sulle convivenze di fatto (Dico). Certamente De Gasperi aveva dimostrato, non solo di fronte alla “Operazione Sturzo”, qual era il senso e la forza della sua autonomia politica.
Ancor più andrebbe ricordata la battaglia risoluta e vincente che egli condusse a favore dell’Alleanza atlantica, allorché il neutralismo della Santa Sede trovava l’insidiosa corrispondenza all’interno della Dc in un analogo atteggiamento di diffidenza della sinistra dossettiana.
Tutto questo, però, non autorizza a manipolare il concetto di autonomia in temporalibus dei cattolici.
La sfera dell’attività di governo, sia a livello centrale che locale, contempla di regola la libertà e cionondimeno la necessità di un approccio laico, scevro cioè da riserve ideologiche o confessionali.
Di fronte invece alle questioni eticamente sensibili, sempre più legate all’incontrollata potenza della tecnica e della scienza, non è di per sé replicabile il ricorso puro e semplice a un’istanza di laicità, specie se per questo tramite fosse intaccata o peggio repressa la libertà della Chiesa di resistere al diniego pubblico dei valori dell’antropologia cristiana. È questa complicazione, per così dire, che obbliga la posizione cattolico democratica a inserire in un parametro del tutto nuovo la naturale predisposizione del cristiano a vivere secondo coscienza e libertà il peso delle proprie azioni nella dimensione mondana.
Nel discorso di Marini tutto c’è meno che l’errata contaminazione tra sfera religiosa e scelte politiche, magari con l’aggiunta di qualche presunzione pseudo-teologica. A favore della Bonino scatta una valutazione di allarme per la vera e propria emergenza morale che da mesi attanaglia il Lazio.
Allora, quale disdoro può nascere da una decisione che punti innanzitutto, dopo lo scandalo, a indicare una donna della statura di Emma Bonino alla guida dello schieramento di centrosinistra? È vero, la fiducia non può essere a senso unico.
La sfida insita in questo passaggio richiede uno spirito di larga condivisione. Se nasce un’alleanza nel Lazio che ricalca la scelta dell’Unione alle politiche del 2006 mediata allora con i radicali da Marini e Chiti su mandato di Prodi, non vedo come si possa essere pregiudizialmente contrari. Alla Bonino non si consegnano le chiavi per trasformare la Pisana in una palestra di lotte ideologiche, ma per inventare una sintesi programmatica che metta i “liberi e forti” – per dirla con linguaggio sturziano – nella condizione di promuovere il risanamento della finanza regionale e l’attivazione di nuovi investimenti; l’assetto di una sanità più moderna ed efficiente; l’armonizzazione delle opportunità di crescita tra Roma e le altre province; l’ampliamento della rete dei servizi sociali; lo sviluppo di infrastrutture e trasporti di rango europeo; l’organizzazione di piani operativi per l’emergenza rifiuti e l’energia; la lotta alla infiltrazione di poteri mafiosi.
Tutti capitoli, questi, di un nuovo e ambizioso progetto di governo. Si tratta, in definitiva, di battere il “populismo in tailleur” della Polverini – a braccetto di Storace per il riscatto del Lazio (sic!) – con un appello alle virtù del buongoverno. Quanto al resto, ove fosse motivo di contenzioso, spetterà ai contraenti di un limpido patto di cooperazione politica deciderne volta a volta il destino possibile: con laicità e senza prevaricazioni. Questa è la garanzia che conta.
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