
Il ministro dell’Interno Angelino Mano ha garantito che «riferirà al più presto» sull’inquietante vicenda del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov. Ieri la Commissione dei Diritti umani del Senato ha esaminato la dinamica dei fatti fin qui nota. La sera del 29 maggio una cinquantina di agenti della Digos hanno fatto irruzione in una villetta di Casal Palocco, poco distante da Roma. Cercavano Ablyazov, il banchiere imprenditore fuoriuscito dal Kazakistan nel 2003 e ora inseguito da una richiesta di estradizione e, soprattutto, dall’ostilità del presidente autocrate Nursultan Nazarbaev. Nella casa, invece, i poliziotti hanno trovato la moglie di Ablyazov, Alma Shalabayeva e la figlia di 6 anni. Mano dovrà spiegare parecchie cose.
E non solo perché lo chiedono il premier Enrico Letta, i ministri degli Esteri, Emma Bonino e della Giustizia, Anna Maria Cancellieri. E dovrà essere convincente, perché questo evidente pasticcio giudiziario rischia di trasformarsi in «un’ennesima figuraccia» (parole di Emma Bonino) politico-diplomatico internazionale. Può la Questura di Roma organizzare un’operazione in stile antiterrorismo per dare la caccia a un oppositore che ha chiesto e ottenuto asilo politico in Gran Bretagna, cioè un Paese dell’Unione europea? Può il ministero disporre il rimpatrio immediato di una donna e di una bambina sulla base di verifiche sommarie? Chi ha deciso e perché di consegnarli all’ambasciata del Kazakistan che già aveva noleggiato un aereo austriaco, ancora prima che fossero terminati gli accertamenti giudiziari? A queste risposte una parte della politica e dell’opinione pubblica ha già risposto. Le decisioni sono state prese dal ministro Alfano. Motivo? L’uomo forte del Kazakistan è un amico personale di Silvio Berlusconi. Quel Paese per altro è un partner importante per la nostra politica energetica (l’Eni ha concluso un accordo chiave lo scorso anno). Ora tocca ad Alfano dimostrare che le cose siano andate diversamente.
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